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L’incubo del falso principe approda in aula

Chiesti 7 anni di carcere per il sedicente erede del re d’Etiopia, accusato di aver truffato tre imprenditori del Mendrisiotto per quasi 13 milioni.

di Malva Cometta Leon

Chiesti 7 anni di detenzione e 10 di espulsione dalla Svizzera per il sedicente nobile erede dell’ultimo re d’Etiopia. L’uomo avrebbe truffato tre imprenditori della regione.

C’era una volta un principe, ma non uno di quelli delle favole. L’unico elemento in comune con la narrativa favolistica è che di credibile c’è ben poco. Titolo nobiliare compreso. «Uno con il titolo di principe ci nasce e ci muore, come diceva Totò», si è difeso il 66enne con grande serietà. L’uomo che da ieri siede al banco degli imputati, dinanzi alla Corte delle assise criminali di Mendrisio in Lugano, è infatti il sedicente principe d’Etiopia Aklile Berhan Makonnen Hailé Selassié, padre delle principessine che hanno partecipato al Grande fratello, per assurdo non quello classico ma quello “Vip”. Perlomeno è questo il nome e il titolo che si è autoattribuito, così da riuscire per più di 10 anni, dal 2007 al 2017, a truffare tre imprenditori del Mendrisiotto procacciandosi con l’inganno quasi 13 milioni di franchi.

In carcere da ottobre 2021, il 66enne è chiamato a rispondere in aula penale alle accuse di truffa per mestiere e falsità ripetuta in documenti. Per la pubblica accusa, rappresentata dalla procuratrice Chiara Borelli, valgono una pena di 7 anni di carcere e 10 di espulsione. Oggi prenderà la parola anche l’avvocato della difesa Andrea Minesso. La sentenza sarà pronunciata in giornata dal presidente della Corte, il giudice Amos Pagnamenta.

Una storia vecchia cent’anni

È una storia che, come ha ricordato la procuratrice pubblica Chiara Borelli, «è già passata da queste aule circa 100 anni fa, quando compariva il principe Tewanna Ray, detto anche ‘cervo bianco’, che dopo aver peregrinato in Europa arrivò fino in Ticino attribuendosi false qualità e titoli e millantando onorificenze, di aver conosciuto il duce e il papa, di aver territori gonfi di petrolio e di essere in attesa di un’importante eredità». Una storia che si ripete, quindi. «Oggi – ha proseguito la pp durante la requisitoria –, non c’è la causa del popolo dei pellerossa, ma di quello etiope. Non ci sono terreni ricchi di petrolio, ma una transazione di 178 miliardi di dollari in attesa di essere ricevuta». La trama è più complessa e articolata, composta da centinaia di documenti falsi con lo scopo d’ingannare le sue vittime.

La vera identità nascosta

L’imputato sarebbe in realtà nato sì in Etiopia, ma dal giardiniere italiano di Sua Maestà il negus Hailé Selassié. Benvoluto a corte è riuscito a mischiarsi spesso con i nipoti del re, di cui era compagno di giochi. Il suo alias, o meglio il suo vero nome è Giulio Bissiri. «Sappiamo che delle origini imperiali c’è tutto il contrario di tutto. L’unico dato concreto è l’esistenza di un documento ufficiale che attesta che Benjamino Bissiri è il padre di Giulio», ha concluso la procuratrice pubblica. Il piccolo Giulio, cresciuto nell’ombra della ricchezza dell’imperatore d’Etiopia, a un certo punto si è immedesimato così bene nella vita dei regnanti da credersi lui stesso un discendente imperiale. Da bambini, si sa, è bello divertirsi coi giochi di ruolo, ma Giulio a questi giochi non ha mai saputo rinunciare. Non si è spogliato di quella finzione, non durante tutti gli anni in cui ha saputo raggirare le sue vittime, e neanche ieri in aula penale di fronte alla corte. Il giovane, ambizioso Giulio vuole diventare uno degli eredi al trono tanto da assumerne l’identità e firmare lettere e documenti con il nome Aklile Berhan Makonnen Hailé Selassié preceduto dalla sigla H.I.H., Sua Altezza Imperiale.

A essere caduti nella trappola del furbo predatore sono stati tre grossi imprenditori del Mendrisiotto. Il primo, un fiduciario con una carriera ben avviata, è stato avvicinato nel lontano 1997 da Bissiri attraverso alcune conoscenze della vittima Bissiri si è presentato – senza alcuno scrupolo né vergogna – come il discendente legittimo dell’ultimo imperatore etiope e guadagnandosi la sua fiducia per oltre vent’anni (a proposito di questo primo uomo, l’imputato ha affermato: «Gli voglio bene comunque, nonostante mi abbia denunciato e mandato in galera»).

In che modo? Affermando di essere detentore di gold bonds dal valore di 178 miliardi di dollari. Uno stratagemma, quello dei bond della Repubblica di Weimar, noto alle cronache: eppure basta una veloce ricerca su internet per capire che si tratta di un goffo tentativo di truffa e che risulta impossibile trarre guadagni da quei vecchi pezzi di carta.

Lo stesso modus operandi Bissiri-Selassié lo ha adottato e utilizzato nei rapporti con le altre due vittime, conosciute nel 2011 e nel 2013. Questa volta, però, anche il rapporto di amicizia e affari con il fiduciario ticinese – che ha dedicato un caveau intero ai documenti riservati del principe – ha contribuito alla riuscita del suo piano malefico. E così, nell’arco di più di dieci anni, il mitomane Bissiri sarebbe riuscito a farsi versare quasi 13 milioni di franchi. «Erano tutti ammaliati da questa figura – ha raccontato la pp – e grazie ai suoi meccanismi da ‘castello di bugie’ riusciva a tenersi accanto le persone».

Un, due, tre truffa

Il castello è poi crollato, fino a diventare polvere di bugiardaggine, quando i tre imprenditori ticinesi hanno deciso di denunciarlo. Ma prima di arrivare a prendere questa decisione è passata tanta acqua sotto i ponti. Tutti e tre hanno ceduto al fascino delle origini principesche dell’uomo e sono caduti nella sua tela. «Neanche il più astuto ragno sarebbe riuscito a tessere una tela così fine», ha dichiarato il legale di uno degli accusatori privati, l’avvocato Pascal Delprete.

«A sentire oggi ‘Makonnen’ – ha ribadito Luigi Mattei, patrocinatore privato del fiduciario – con tutte le cose che raccontava e il modo in cui ha risposto, è evidente che ciò che racconta non sta né in cielo né in terra. Sorge spontanea quindi la domanda: come hanno fatto tutte queste persone a credere a quanto diceva? Perché quando appariva, ‘Makonnen’ era ben altra persona. Giocava molto sulla presunta discendenza imperiale, e si presentava con alterigia, tanto che in Etiopia la gente gli si inchinava davanti». A rimarcare l’abilità del presunto principe è stato anche il terzo avvocato Sascha Schlub: «Io stesso, ispezionando i documenti giustificativi, ho potuto constatare quanto fossero ben fatti».

Più avanti, oltre alle scuse e ai documenti falsi per giustificare il ritardo nell’incasso dei gold bonds, Bissiri distribuisce alle sue vittime altre menzogne. Questa volta legate al suo stato di salute precario, arrivando pure a minacciare di togliersi la vita. E ancora gli venivano quindi versati dei soldi. Finché poi tutti e tre lo hanno smascherato con l’aiuto dei loro legali.

La perla finale del principe

Oltre alla condanna, adesso il sedicente principe rischia l’espulsione dal territorio elvetico. Il 66enne ha risposto che la accetta. Ha aggiunto poi però un commento che ben dimostra la sua percezione distorta della realtà: «Se lo Stato etiope dovesse però darmi un incarico istituzionale, saranno poi i governi a dover trattare per il mio impiego diplomatico».

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