laRegione

Fabiano Bevilacqua

È nato a Locarno nel 1957. Dopo gli studi commerciali a Bellinzona si è formato artisticamente a Firenze e a Parigi. È stato educatore in istituti cantonali, per i quali ha organizzato laboratori manuali e artistici, e dal 1984 al 1987 ha gestito un centro alternativo al carcere per giovani ex tossicodipendenti in Puglia. Artisticamente, dal 1982 al 1997 ha realizzato ingrandimenti di sculture per l’atelier Régine Heim di Zurigo ed è stato cofondatore della stamperia d’Arte “L’Impressione” di Locarno, con Franco Lafranca. Ha svolto atelier di scultura a Locarno, Zurigo, Verscio e, a partire dal 1979, ha esposto in molte personali e collettive in Svizzera e all’estero. Dal 2010 vive a Biarritz, in Francia, dove opera come scultore e pittore.

“L’opera d’arte ti piace se ti parla e, meglio ancora, se parla di te. Se ti riconosci in essa. Se ti aiuta a capirti meglio”. In comunità di recupero, quasi 40 anni fa, c’era un ragazzo che non voleva essere toccato. Fabiano, educatore e artista, lo invitò a lavorare su una grande scultura in gesso. Per farlo, il ragazzo non poteva evitare di abbracciarla. Ne uscì un’intimità artistica, una prossimità sensoriale che forse aiutò il giovane a emanciparsi dal suo trauma, o quantomeno gli permise di realizzare un’opera d’arte intrinsecamente terapeutica, di consistenza quasi corporea. Fabiano Bevilacqua ricorda quell’esperienza come una tappa fondamentale di una vita iniziata a Locarno, sviluppatasi negli anni fra Puglia, Zurigo, Firenze e Parigi, e che prosegue oggi in un luogo magico dove il mare, letteralmente, respira.

Se è vero che in qualche modo apparteniamo ai territori che abitiamo, allora Fabiano, stabilendosi a Biarritz, si è consegnato alla vastità dell’Atlantico, alle sue spettacolari escursioni, alle alte e alle basse maree che in poche ore cambiano il paesaggio; a quel lungo e profondo canyon sottomarino, quasi perpendicolare alla Grande Plage, che crea onde fra le più ricercate dai surfisti, le cui brevi cavalcate tracciano effimeri percorsi nella spuma ribollente.

A proposito dei baschi

Affatto effimero è il percorso esistenziale dell’artista, che 12 anni fa, già ultracinquantenne, scelse il Paese Basco francese dopo tre soggiorni da cinque settimane di vacanza e un anno sabbatico. “A un certo punto ho capito che dovevo rimanere. Me l’hanno suggerito tante cose: fra esse, il fatto che qui è ancora possibile ritrovare il Ticino degli anni Sessanta”. Il quotidiano grande mercato sulla spianata “des Halles” è un coacervo di odori, sapori ed esperienze. È piazza, luogo d’incontro in un contesto “molto meno stressante rispetto a quello che ritrovo quando rientro o ripenso alla Svizzera. Qui la gente si prende tutto il tempo necessario. La Spagna è vicina e molto presente, si va regolarmente a San Sebastian. Quando li accompagno, gli amici che arrivano dal Ticino mi chiedono quale festa ci sia; nessuna festa, rispondo loro, questa effervescenza è la normalità”. Siamo, anche, le lingue che parliamo e quelle che ascoltiamo. Quella basca è la più antica d’Europa: “Deriva dal Neolitico, risale a oltre 8’000 anni fa. Nelle tre province basche francesi la utilizza ancora un quarto della popolazione, nelle 4 province spagnole una buona metà del totale. L’idioma, con tutti i suoi dialetti, differisce molto sulla costa, terra di marinai, rispetto all’entroterra montano, dove la gente è più dura. Qui non c’è sostanziale differenza fra tradizione e attualità, molte librerie e addirittura alcune scuole privilegiano il basco con l’intento di mantenerlo vivo, unitamente alla sua cultura”, dice l’artista. La sua è una vita da riscoprire ogni singolo giorno. Particolarmente illuminante, per Fabiano Bevilacqua, è la lezione del rebbe Nachman di Breslov: “Ne demande pas ton parcour a quelqu’un qui le connaît: tu risquerais de ne pas te perdre”. Perdersi per ritrovarsi, direbbe il filosofo: in questa stessa terra basca successe a Coco Chanel, che vi aprì il suo primo atelier, e a Pablo Picasso, sulle cui “Bagnanti”, dipinte nel 1918, veglia il faro di Biarritz, sentinella di un’epoca in cui Napoleone III fece costruire il vero simbolo della città, l’Hôtel du Palais, eretto a forma di “E” per offrirlo in dono all’imperatrice Eugenia.

La scienza del cambiamento

Accanto a tutto questo, per Fabiano, c’è l’arte astratta, vero filo conduttore che permette di coniugare sentimento e materia. Nell’appartamento in Avenue de République, che all’occorrenza è anche atelier, dipinti e sculture raccontano un’evoluzione che è continua, mutevole traduzione di un modo di essere in continuo cambiamento, “dove passato, presente e futuro sono come tessere intercambiabili di un mosaico da comporre fuori dalla linea del tempo”. Nella scultura, Bevilacqua crea con cera, gesso e bronzo. “Alla Fonderia d’arte di Irun, in Spagna, il primo giorno l’ho passato spiegando chi sono, cosa desidero e come voglio lavorare con loro. Non mi sono mai limitato a portare il modello per poi passare a ritirarlo. Controllo i dettagli, i processi, curo i ritocchi alla cera, al gesso, faccio i calchi, le cesellature”. Quanto all’ispirazione, “è dettata dall’intimo, più che dal luogo in cui sono. Il viaggio più bello che puoi fare si svolge nella tua testa, ed è nel segno della sorpresa di un continuo cambiamento. Tutto quello che vediamo, e che sentiamo, lo trasformiamo sulla base della nostra sensibilità. Il luogo mi mette in una certa condizione psicologica, ma non mi ispira direttamente; semmai, incontra ciò che io sono in quel preciso momento, sulla base della mia esperienza. Siamo fatti di tutto e ce lo portiamo sempre dietro. Ciò che reputo fondamentale è la coscienza del cambiamento; anche delle idee, delle convinzioni che un tempo si credevano inscalfibili. Ho sempre rifuggito gli “ismi”, le ideologie che diventano religione”. Nell’approccio alla sua arte, unitamente al cambiamento (“Se lo accetti, accetti la vita”), i capisaldi sono il paradosso e l’ironia: “Il paradosso è decostruzione, l’ironia è la base per conoscersi”.

“Siamo fatti di tutto. E ce lo portiamo sempre dietro”

Nell’appartamento in Avenue de la République, appesa a un muro, c’è una vecchia targa: ‘Colorificio Beretta, Locarno’. “Fu aperto nel 1899 dal mio bisnonno Osvaldo. Il diavolo che vi si vede raffigurato è un ‘omaggio’ a Gli Anticlericali, di cui il mio avo fu il fondatore nel 1903. In bottega si facevano i colori con le ricette scritte a mano. Si prendevano i pigmenti, gli olii, c’erano le pulegge che giravano con i nastri di corame. Io, affascinato, osservavo. Poi aiutavo a versare a mano i colori nei contenitori di latta di diverse dimensioni, che venivano pesati sulla vecchia bilancia con i piombini, prima di venire chiusi con il martelletto ed etichettati. La qualità era eccezionale. E facevano anche la cera, con il padellone”.

INCONTRI

it-ch

2022-12-03T08:00:00.0000000Z

2022-12-03T08:00:00.0000000Z

https://epaper.laregione.ch/article/282355453768091

Regiopress SA