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Figli delle stelle (vintage edition)

DI BEPPE DONADIO

James Taylor Hourglass (1997)

“Non ho mai avuto bisogno di vestirmi in un modo o in un altro per cantare quello che scrivo”. È tra i passaggi più elementari e significativi dell’intervista di Oprah Winfrey a James Taylor nei giorni di American Standard, album da Grammy uscito nel 2020. L’aspetto estetico non vincolante del singer-songwriter statunitense, noto al grande pubblico per “You’ve Got A Friend” (che però è di Carole King), fa un po’ il pari con il fatto che dall’album eponimo del 1968 edito dalla Apple Records dei Beatles, fino ai giorni nostri, James Taylor suona esattamente lo stesso. È la sua grandezza. Ma Hourglass, album di 25 anni fa, suona un po’ più James Taylor degli altri.

“I remember Richard Nixon back in ’74”

Così come American Standard, Hourglass è vincitore di Grammy, uno per il Miglior album pop vocale e uno per la miglior produzione (a Frank Filipetti). Ma forse più di altri è intimo e personale. In “Jump Up Behind Me” (con Sting), è raccontato il padre salvifico che tirò fuori il giovane James dagli eccessi dell’era Original Flying Machine, sua prima band; “Enough To Be On Your Way”

(col violoncello di Yo-Yo Ma) parla dell’alcolismo del fratello Alex. C’è “Boatman”, scritta insieme al fratello Livingstone, c’è “Another Day”, una di quelle cose che gli autori per anni non riescono a chiudere, ma poi arriva ed è perfetta.

E poi c’è Richard Nixon: “Line ’Em Up” (più o meno “Metteteli tutti in fila”), dalla rallentatissima divisione ritmica sudamericana, è il nostalgico compiacimento per il Richard Nixon fresco di dimissioni, che nel 1974, sulla porta della Casa Bianca – “Una lacrimuccia dal suo occhietto sfuggente” – saluta il suo staff allineato e si toglie dalle scatole (eufemismo).

Tempo

Il solismo, in Hourglass è garantito: Branford Marsalis nell’ecologica “Gaia” e nel sei ottavi “Up From Your Life”; Michael Brecker nella ritmica “Ananas”; Stevie Wonder all’armonica in “Little More Time With You”, resoconto dei tempi delle dipendenze (cocaina, metadone, alcol e tabacco). E la brava Shawn Colvin, singer-songwriter anch’essa, insieme allo zio James in “Yellow and Rose”.

Hourglass (ovvero clessidra; mai titolo avrebbe avuto più senso) è anche un album di arrivi e dolorose partenze: alle tastiere, Clifford Carter ha già preso il posto del defunto Don Grolnick; il batterista Carlos Vega, tra i più importanti session men, se ne sarebbe andato di lì a poco, sparandosi un colpo di pistola in testa. Solo Steve Gadd, nell’odierna band di James Taylor, di Vega può riprodurre l’essere ‘indietro’, la virtù di tutti coloro che, in musica, tentano di fermare il tempo e, come in questo disco, ci riescono.

MUSICA

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2022-12-03T08:00:00.0000000Z

2022-12-03T08:00:00.0000000Z

https://epaper.laregione.ch/article/282480007819675

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