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CHI LI ASCOLTA?

I giovani e l’attivismo: riflessioni su un fenomeno che dà fastidio

‘Sono le azioni partite dal basso, soprattutto dai giovani, a fermare più spesso conflitti e ingiustizie’ scriveva qualche settimana fa Giuseppe Cassini sul quotidiano il Manifesto, a naturale conclusione di una serie di manifestazioni storiche riuscite, in nome della giustizia sociale e del pacifismo. Eppure. Danno fastidio.

Quanto è facile a volte aderire all’immaginario di lotta e gioia con entusiastico fervore, schierarsi dalla parte dei manifestanti in nome di romantiche memorie e dire con fermezza ‘largo ai giovani’ mentre si osservano su tutti gli schermi le fiumane colorate che si mobilita(va)no per i ‘Fridays for Future’. Facile e semplice, a volte, lasciar fare ai ragazzi, quasi spettasse loro riordinare dopo i festini altrui. Ma se poi gridano troppo, steccano o si dimenano, silenziarli con la dotta esperienza e professionale destrezza dell’età matura. Non è forse quello che accade? Che sta accadendo proprio ora?

Danno fastidio.

Eppure: i giovani si indignano, propongono soluzioni in modo apparentemente disordinato e disorganizzato, come il loro mondo. L’hanno sempre fatto, da sessant’anni a questa parte. Con la sfrontatezza e l’arroganza, l’irragionevolezza e l’esuberanza dell’esperienza di quel misero paio di decadi di vita alle spalle. Partecipano al dibattito di idee globale e quel bisogno di far emergere una voce, limpida e ancora a suo modo pura, è quel che lo mantiene vivo. Non solo, una sorta di allarme da prendere così com’è, frastornante e indelicato. Non è forse stato l’urlo fermo di una ragazzina a mobilitare le folle negli ultimi anni? Ci piace (ecco che mi metto già, anagraficamente è un dovere, dall’altra parte della barricata), eppure sentenziamo troppo spesso su pertinenze, modi e linguaggi. Quasi non fossimo mai abbastanza vicini per poterli ascoltare davvero.

La voce dei ragazzi

Osservo le azioni, spio le ripercussioni sull’opinione pubblica: spesso le liquida. Ascolto interviste in cui manifestano la loro paura per il futuro, snocciolano pensieri a volte più lucidi dei miei e dimostrano una coscienza tutt’altro che ingenua rispetto al mondo attuale. Studi (l’ultimo di qualche giorno fa a Berna) dimostrano che sono molto più attivi di quanto si creda, e di quanto credano loro. Fanno sentire la loro voce a volte con più timore rispetto a qualche anno fa - che la pandemia abbia tarpato le ali un po’ a tutti si sa, e son proprio loro ad averne risentito di più. E poi sbroccano, a furia di tanto parlare e poco arrivare, sbroccano. Le recenti azioni andrebbero sicuramente analizzate in maniera approfondita una per una, per decifrarne volontà, rivendicazioni, pertinenza. Tra l’altro il loro perpetuarsi non fa che confermare, a mio parere, una necessità di fondo parecchio diffusa. Sono andata a chiacchierare con alcuni ragazzi che in una scuola d’arte si stanno formando, e che un’idea su quanto stia accadendo se la sono fatta. Per cercare anche di scoprire con loro quali possibilità d’ascolto effettivo ci sono per i ragazzi oggi, come possono essere attivi con le proprie idee, quale visione del mondo si stanno facendo. Ne è uscito ovviamente un discorso un po’ sconnesso e disarticolato come loro, ma che nella sua imprecisione brilla. La difesa delle opere d’arte non è mai stata messa in discussione, semplicemente non è questo il punto.

CSIA, un pomeriggio d’autunno

“Qui si parla tanto, si viene ascoltati e si fa sentire e valere la propria opinione, è una bella scuola”. Gabriel, Emma, Licia, Fabienne, Este, Dayan, Emma G. sono all’ultimo anno del loro percorso scolastico.

L’APPROFONDIMENTO

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2022-12-03T08:00:00.0000000Z

2022-12-03T08:00:00.0000000Z

https://epaper.laregione.ch/article/282673281347995

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