laRegione

Un taglio ‘contiene’ il dolore interiore

Garino: ‘Farsi del male non è un modo per richiedere attenzione, ma la possibilità di trasporre su un piano fisico ciò che intimamente non ha inizio né fine’

di Davide Martinoni

Dottor Garino, cosa si intende per disregolazione emotiva e a chi si rivolge esattamente il ‘ConTatto’?

La disregolazione emotiva determina una difficoltà ad abbassare il “volume” delle emozioni provate. Il problema è frequente in particolare nella fascia d’età 15-25 anni. Sappiamo che la maggior parte delle volte è dovuto a un disturbo della personalità già presente, mentre in casi più rari arriviamo a diagnosi differenti, che richiedono altre modalità di intervento.

Dalle statistiche emerge una certa preponderanza di ragazze, rispetto ai ragazzi.

È esatto, tendenzialmente arrivano molti più soggetti di sesso femminile. Ciò perché spesso la disregolazione emotiva dei ragazzi è legata più ad altri aspetti di appartenenza psichiatrica, psicopatologici. Per le ragazze la fascia 15-25 anni risulta ampiamente coperta in tutte le sue parti, anche se le giovani attorno ai 18 anni emergono per rappresentanza. Sono ragazze e ragazzi che provengono da famiglie molto diverse. Ve ne sono alcune con problematicità e aspetti sociali e relazionali complicati, mentre altre sono apparentemente “normali”, per quanto possano dirci i colloqui che facciamo con i familiari nel pre-ricovero.

In che misura nei casi di disregolazione emotiva è presente l’uso di sostanze?

In misura importante e riguarda svariate sostanze. Ma non si tratta dello stesso utilizzo di cui si parlava anni fa; mi riferisco, ad esempio, all’eroina da buco, secondo la visione di allora del vizio. Oggi parliamo di tentativi di auto-cura per questa tensione assolutamente non decifrabile, spesso con un deficit di mentalizzazione di ciò che accade all’interno. Quanto a chi si procura delle ferite, è importante precisare che il taglio, molto spesso, non è un modo per richiedere attenzione, ma la possibilità di trasporre su un piano fisico un dolore assolutamente incontenibile e che abbia, almeno, un inizio e una fine; vertici che invece non ci sono nella percezione del ragazzo che prova questo tipo di esperienza interiore.

Voi come intervenite?

Cerchiamo di insegnare qualche tecnica – che non sia solo farmacologica, naturalmente – per prevenire le crisi quando la tensione comincia a salire, o per gestirle in maniera diversa. Solitamente facciamo anche una testistica psicometrica per capire se una terapia individuale, in collaborazione con i medici e le agenzie presenti sul territorio, sia più indicata rispetto a quella a gruppi svolta all’esterno. Nel reparto “ConTatto” non esiste il regime coatto: la volontarietà del percorso è un elemento essenziale ed estremamente importante. La strutturazione è molto precisa e riguarda spesso già la riappropriazione di alcune azioni elementari come rifarsi il letto, ritirare e riordinare a turno i vassoi dei pasti all’interno del reparto e curare gli spazi comuni. Si tratta di impegni basilari che sono parte della cura stessa; direi quasi una sorta di “estetica della cura”.

Cosa succede con chi dimostra di non voler o saper restare?

Il reparto è delimitato da una porta – non chiusa a chiave – e rappresenta una nicchia di protezione. Ad alcune persone è necessario chiedere – non imporre – di rimanere per i primi 3-4 giorni in stretta osservanza delle dinamiche del gruppo. Va detto che non abbiamo ancora registrato casi di contrapposizione, con uscite deliberate o situazioni in cui qualcuno abbia oltrepassato un limite di comportamento. Questo ci dimostra che la valutazione pre-ingresso funziona. Dopo quei primi giorni c’è il permesso di uscire e occupare altri spazi interni della clinica, e anche esterni, “raggio parco”.

Come funziona la terapia?

I gruppi che vengono proposti ne sono gli strumenti principali. Come nel reparto aperto vi sono 2 colloqui medici a settimana e c’è un’infermeria pronta per accogliere eventuali situazioni di criticità. Noi spingiamo affinché i giovani chiedano un aiuto prima che mettano in atto determinati agiti, come i tagli (molto frequenti) o altri comportamenti a rischio, che altro non sono che una loro risposta per provare a fermare l’escalation emotiva. In questo anche il gruppo ha un ruolo assolutamente importante. Mi riferisco ad esempio a quello definito “pianificazione”, in cui si discutono e si condividono le strategie da adottare in quei casi. Per un ragazzo è molto più efficace sentirselo dire da qualcuno che, come lui, vive quell’emozione, piuttosto che da un esperto in camice bianco, ma che non ne ha esperienza diretta, sulla sua pelle. In questa dinamica notiamo che specialmente chi è a fine percorso, verso la terza o la quarta settimana di permanenza, tende ad accogliere chi arriva, quasi in assenza di giudizio.

Nove posti non sono molti. Quanto credete di ‘resistere’ prima che sia necessario ampliare?

Il dato rispetto ai posti sarà da valutare nel tempo. Alla base c’è comunque sempre una valutazione di chi arriva e di cosa può “portare” all’interno del reparto: se per qualche motivo c’è il rischio che stare nel “ConTatto” possa determinare dei problemi rispetto alle dinamiche già esistenti, o per qualcuno dei giovani già presenti in particolare, allora si concorda un ricovero nel reparto aperto e si attende la dimissione di chi avrebbe potuto soffrire quella presenza.

L’APPROFONDIMENTO

it-ch

2023-02-02T08:00:00.0000000Z

2023-02-02T08:00:00.0000000Z

https://epaper.laregione.ch/article/281522230232750

Regiopress SA