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Mezz’ora in meno

di Roberto Scarcella

L’occupazione della stanza dei bottoni della Rai da parte della destra (sia chiaro, non una prepotente Marcia su Saxa Rubra, ma niente di più e niente di meno di come si è comportato ogni governo italiano dal Dopoguerra a oggi) ha fatto anche cose buone.

Ad esempio ha scoperchiato– in particolare con il caso Annunziata– quell’attitudine della sinistra italiana e di alcuni suoi (presunti) alfieri a comportarsi come i peggiori conservatori, incapaci di vedere qualunque cosa vada oltre il proprio naso, i propri interessi, la propria cerchia di potere e la propria casta anagrafica in un Paese in cui la gerontocrazia è diventata abitudine. E l’abitudine, si sa, è l’anticamera della pigrizia mentale, quella che lascia invecchiare e morire i Brunovespa e i Mauriziocostanzo sugli schermi nei nostri salotti.

Lucia Annunziata, la giornalista barricadera solo con chi pare a lei, che nel suo “Mezz’ora in più” ringhiava ai Salvini e ai Renzi, salvo poi ammansirsi quando arrivavano quelli che le andavano più a genio (guarda caso suoi coetanei o giù di lì, che professavano – senza incarnarli – ideali di sinistra proprio come lei), sta per compiere 73 anni.

Imperversa in tv e sui giornali da più tempo di quanto si possa ricordare, senza – tra l’altro – lasciarci nulla di significativo da ricordare, eppure – per molti, a sinistra – è la nuova martire traumatizzata dalla destra brutta e cattiva.

I titoloni dei giornali italiani sulla pasionaria Annunziata che lascia “per coerenza” sono l’ennesima conferma di un giornalismo ombelicale: il riflesso pavloviano de “i miei” e“i tuoi” non dà il tempo di ragionare sui peccati dei “miei”, che sono tanti e perdipiù perfettamente incarnati da Annunziata, di cui già si ventila la candidatura alle Europee con il Pd (Ma come? Non era la paladina dell’informazione imparziale? E se paladina dell’informazione parziale, possibile che ora ci si indigni della parzialità altrui?).

Ma torniamo all’anagrafe: in anni di crisi della professione, lo Stato e il potente sindacato unico hanno trovato scivoli di ogni tipo per prepensionare o pensionare (a età ridicole per i tempi che corrono: 58 anni, poi alzati oltre i 60) giornalisti regolarmente usciti dalla porta per rientrare nemmeno dalla finestra, ma sempre dalla porta, in pompa magna (con salari spesso da capogiro, vedi Rampini, tra gli altri), così tanto per fare un po’ i gradassi alla faccia delle nuove generazioni, sempre in attesa, se non di un megafono, almeno di un microfono per la propria voce. E di un contratto decente.

Che Vittorio Feltri dica castronerie che paiono uscite dalla bocca di un latifondista cotoniero del Maryland dell’Ottocento passi, si conosce il personaggio, che sembra davvero un latifondista cotoniero del Maryland. Basta non prenderlo sul serio: non lo fa nemmeno lui. Invece Annunziata e i totem dell’intellighenzia giornalistica italiana si prendono enormemente sul serio. In tempi recenti sia Michele Serra (69 anni) che Natalia Aspesi (93) hanno scritto che non schiodano perché gente più brava di loro in giro non ne vedono; Paolo Mieli imperversa in tv a tal punto che viene il dubbio abbia dei cloni; Gramellini tratta tutte le persone sotto i 40 anni come poppanti o stranieri a cui si parla piano e con i verbi all’infinito, sennò non capiscono. Intanto, per sostituire Annunziata si pensa ad Antonio Di Bella, dal curriculum che più italiano non si può, e quindi vergognosamente perfetto: 67 anni, appena pensionato dalla Rai, dov’è entrato ventenne in quanto figlio del direttore del Corriere della Sera.

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2023-05-30T07:00:00.0000000Z

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