Putin a Trump: ‘Non arretriamo’ Blitz di Zelensky in Ue
L’Europa promette nuove armi. Kiev: senza Usa non basta
Il sostegno ferreo all’Ucraina in terra scandinava, gli scarsissimi progressi per uno schema di pace accettabile per Kiev sul filo diretto tra gli Usa e la Russia. La telefonata tra Trump e Putin, arrivata dopo l’annunciato stop all’invio di armi a Kiev da parte del presidente Usa – poi parzialmente smentito ieri sera – è stata ben lontana dal chiarire un quadro che, per Zelensky, rischia di divenire improvvisamente più fosco. E non è un caso che il presidente ucraino sia arrivato ad Aarhus, in Danimarca, in occasione dell’inizio del semestre di presidenza guidata da Copenaghen. Una sortita, quella di Zelensky, che ha centrato il bersaglio – ottenere nuove assicurazioni sul sostegno militare dell’Europa – ma che, con un progressivo disimpegno americano, rischia di essere monca.
Telefonata interlocutoria di un’ora
La telefonata tra Trump e Putin è stata invece interlocutoria. I due hanno concordato che i negoziati andranno avanti. Lo Zar però ha avvertito: “Non rinunceremo ai nostri obiettivi, occorre eliminare le cause di fondo del conflitto”. Poco altro è trapelato sul contenuto della chiamata, durata quasi un’ora, nel corso della quale è stato affrontato “in modo approfondito” anche il dossier Iran e Medio Oriente. Qualche ora dopo Trump ha dichiarato: “Non ho fatto nessun progresso sull’Ucraina con Putin e gli ho detto che non sono contento della situazione”.
Il presidente ucraino è arrivato ad Aarhus poco dopo il pranzo tra la Commissione e il governo danese e, ha subito fatto il punto con la premier Mette Frederiksen,
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. Tutti hanno assicurato all’ucraino che il sostegno dell’Europa non avrà alcuna ripercussione psicologica dalla possibile svolta americana sulla consegna di armi. Von der Leyen ha invitato con una certa nettezza gli Stati membri ad attivare Safe, lo strumento pensato per i progetti comuni nella difesa europea. Progetti nei quali Kiev entrerà con pieno diritto. “Safe serve anche a difendere l’Ucraina”, ha sottolineato, nel punto stampa congiunto che si è svolto nel giardino del castello di Marselisborg. Copenaghen, dal canto suo, ha certificato che farà da apripista a una iniziativa che nei prossimi mesi potrebbe prendere quota: permettere alle aziende ucraine di produrre armi nei singoli Paesi dell’Ue.
Mezzi che solo gli Stati Uniti possiedono
Eppure è stato lo stesso Zelensky ad ammettere che non basterà. “Contiamo sul continuo sostegno degli Usa, perché ha certi mezzi che l’Europa non ha, come i missili Patriot”, ha spiegato il presidente ucraino a una manciata di ore dall’ennesima, cruciale, telefonata con Trump. Un concetto che anche a Bruxelles è molto chiaro. Se gli Usa fermassero l’invio di armi – cosa che, secondo il Wall Street Journal, è effettivamente accaduta in Polonia nelle scorse ore – ciò rappresenterebbe “un serio passo indietro per l’Ue e per la Nato”, ha detto Frederiksen. Ieri sera Trump ha tuttavia negato di aver smesso di fornire armi all’Ucraina: “Le abbiamo date e continuiamo a farlo ma dobbiamo essere sicuri di averne abbastanza per noi”, ha dichiarato prima di partire per l’Iowa. Il punto, per l’Ue, è che i continui cambi di strategia di Trump rendono gli Usa un alleato inaffidabile anche sul fronte ucraino. Lo stop alle armi “è un segnale affinché aumentino le nostre”, ha avvertito Von der Leyen. D’altra parte l’Ue è convinta di non avere scelta. Certa che “Putin non vuole la pace e non vuole fermarsi”. E ad Aarhus nessuno si è fatto troppe illusioni sulla nuova telefonata tra Trump e Putin. “Non so se possono avere molte idee in comune. In Russia decide solo Putin, per questo serve un vertice ad alto livello”, ha sottolineato Zelensky derubricando eventuali altri colloqui sulla scia di quelli di Istanbul. Gli sforzi dell’Ue sono evidenti sul dossier dell’adesione dell’Ucraina. Il veto ungherese rischia di bloccare il processo finché Viktor Orbán sarà al potere ma, sull’allargamento all’Ucraina, la presidenza danese punta molto. Nei prossimi sei mesi la pressione su Orbán aumenterà. L’idea è quella di aprire ufficiosamente tutti i cluster per Kiev entro l’anno e attendere le elezioni che si terranno in inverno a Budapest.
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