Le Pen, padre ignobile dell’ultradestra
Razzista e retrogrado non ripudiò Vichy né il Terzo Reich riuscendo ad arrivare al ballottaggio per l’Eliseo. Morto a 96 anni, lascia molti eredi politici
Di Roberto Scarcella
Quando l’anima nera di un’Europa uscita dilaniata dalla Seconda Guerra mondiale non aveva un volto, fu lui a prestarglielo. Certo, c’erano ancora Franco in Spagna e Salazar in Portogallo. E arriverà anche il turno dei Colonnelli in Grecia. Ma Jean-Marie Le Pen – morto ieri a 96 anni – fece qualcosa di diverso, meno eclatante, ma in qualche modo più efficace e duraturo. E i cui effetti sono sotto i nostri occhi più che mai. Le Pen incarnò e fece crescere l’ultradestra becera, nazionalista, populista, razzista, orgogliosa e intransigente dentro una democrazia, e non una qualunque, quella francese. Riuscendo a compattare e far riemergere sentimenti e risentimenti neofascisti che la guerra aveva sconfitto, ma non – come si pensava ingenuamente – schiacciato per sempre.
Il populista
Sebbene figlio di pescatori di un piccolo villaggio della Bretagna (il suo cognome in bretone significa “Il capo”, casualità che rivendicherà come una sorta di destino ineluttabile) gli riuscì benissimo seminare. Padre biologico di Marine Le Pen e putativo di tutta quella destra che – dall’Austria di Kickl all’Italia di Meloni e Salvini, dalla Spagna di Vox alla Germania di AfD – oggi affolla piazze, tv, discorsi, cervelli e parlamenti, Jean-Marie aveva capito che per ottenere risultati aveva solo bisogno di tempo. Per restare in piedi, visibile negli anni e nei decenni in una politica capace di triturare talvolta anche i più capaci – se portatori di istanze marginali –, Le Pen si è inventato di tutto, dalle bende da pirata a disgustose frasi a effetto (“Le camere a gas dei nazisti sono un dettaglio della storia”, la più celebre), che però molti ricordano ancora, dimostrando il suo innato fiuto e la capacità di salire su vantaggiosi treni in corsa per poi abbandonarli davanti a un’opportunità migliore.
Così fece fin dagli anni Cinquanta, quando – dopo aver fatto il soldato in Indocina, in Algeria e a Suez – si candidò, risultando il più giovane eletto all’Assemblea Nazionale, con l’Union et fraternité française, braccio politico dei poujadistes, il movimento sindacale che cercava di difendere le corporazioni facendo leva sul neopopulismo conservatore. Era il 1956. Due anni dopo, movimento e partito crollarono, e di fatto l’unico a salvarsi fu proprio Le Pen, rieletto con un’altra formazione che nel tempo avrà meno fortuna di lui, il Centre nationale des indépendants et paysans. Sfrutta una ferita all’occhio durante una rissa per mostrarsi in pubblico con una benda da pirata che gli farà guadagnare voti e popolarità.
Nel frattempo Le Pen era diventato segretario generale del Fronte Nazionale dei combattenti, (embrione di quel che poi sarebbe diventato – sotto la sua guida – il Fronte Nazionale), poi direttore della campagna per le presidenziali del reazionario Jean-Louis Tixier-Vignancour (ex sostenitore del Terzo Reich e ministro del governo collaborazionista di Vichy) e anche membro di Ordre Nouveau, branca francese di quell’Ordine Nuovo fondato in Italia da Pino Rauti e che nel simbolo aveva una croce celtica.
Nel 1972 il Fronte Nazionale inizia a picconare il gollismo da destra. Due anni dopo Le Pen si candida per la prima volta alle presidenziali, dove tuttavia non raccoglie nemmeno l’uno per cento. Una bomba esplosa nel suo appartamento diventa l’ennesima occasione per far parlare di sé: lui distribuisce le colpe a sinistra, ma forse fu un dissidio interno, una disputa sull’eredità di Lambert Cement, ricchissimo industriale che decise nominare come suo erede Le Pen, lasciando a lui l’intero patrimonio e la villa di Montretout, quartier generale dell’estrema destra rampante.
Il sogno dell’Eliseo
Le Pen, che sembra sempre sul punto di cadere (nel 1981 non si candidò alle presidenziali non avendo raggiunto le 500 firme di altrettanti sindaci a suo sostegno), ottiene un seggio all’Europarlamento nel 1984 e nel 1986 rientra anche nell’Assemblea nazionale assumendo un ruolo sempre più centrale nel dibattito pubblico. Alle presidenziali del 1988 prende il 14,83%, nel 1995 il 15%. Nel 2002 gli riesce un exploit inatteso, anche grazie alla solite divisioni della sinistra che presentandosi sparpagliata alla corsa all’Eliseo azzoppa il candidato socialista Lionel Jospin, favorito della vigilia. Con il 16,86%, per la prima volta un candidato dichiaratamente vicino alla Francia di Vichy e che non aveva mai preso le distanze nemmeno dal Terzo Reich, si ritrova al ballottaggio per la presidenza. Una grande mobilitazione democratica con manifestazioni di piazza limita le sue possibilità: stravincerà Jacques Chirac, votato a quel punto – col naso tappato – anche da molta di quella sinistra a cui inizialmente non andava bene Jospin.
Le Pen aveva ormai sdoganato neofascismo e neonazismo, nonché razzismo e violenza come sottili e allo stesso tempo roboanti armi elettorali: criticò la Nazionale di calcio poi vincitrice del Mondiale 1998, a suo dire “troppo piena di stranieri” che stranieri non erano, difese sia il passato coloniale della Francia sia l’uso della tortura (arrivando a dire di aver assistito a torture e nel caso di non aver avuto problemi a fare egli stesso l’aguzzino).
I manifesti ispirati all’UDC
Nel 2010 si ispirò all’UDC svizzera per dei manifesti critici nei confronti dell’islam. Processato per incitamento all’odio razziale, venne poi assolto. I cartelloni in questione raffiguravano una donna completamente velata accanto a una cartina della Francia coperta dalla bandiera algerina, su cui spiccavano minareti a forma di missili. Il tutto era accompagnato dal titolo “No all’islamismo”. Immagini che si ispiravano chiaramente a quelle dell’UDC, pubblicate nell’ottobre 2009 durante la campagna in vista del voto per vietare la costruzione di minareti in Svizzera. Nel 2011 passò il testimone alla figlia Marine, da cui si allontanò sempre più, fino a smettere di parlarle e alla nipote Marion. La riconciliazione familiare arrivò solo il giorno del suo novantesimo compleanno, ma nel frattempo lui era stato condannato in via definitiva per le frasi shock sulle camere a gas e anche cacciato dal partito per posizioni che mal combaciavano con la nuova destra di Marine, più melliflua. I disastri della sua politica dell’odio li vediamo ancora oggi ben oltre i confini francesi, tuttavia quando una parola col tuo nome (lepenista) appare sui vocabolari, un segno vuol dire che l’hai lasciato.
ESTERO / SVIZZERA
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2025-01-08T08:00:00.0000000Z
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