‘Il futuro spaventa, oggi ci si rifugia nel presente’
Lodi di Pro Juventute avverte: ‘La mancanza di garanzie penalizza la collettività a vantaggio dell’individuo’. A dare sollievo, la ricerca della socialità
Di Vittoria De Feo
«Anche solo quarant’anni fa, i giovani anelavano al futuro. Non si vedeva l’ora di diventare grandi. Ora invece i ragazzi pensano soprattutto al presente». Quello di oggi è un contesto non privo di ostacoli in cui crescere. A sostenerlo il responsabile regionale di Pro Juventute Ilario Lodi, che spiega: «In passato il futuro era la meta a cui ambire perché rappresentava una sorta di garanzia di sicurezza. Il futuro era migliore del presente. Oggi non è più così». Insomma, per Lodi, «se un tempo si faceva affidamento a un’idea cumulativa di futuro, ovvero che quanto costruito oggi avrebbe reso migliore il domani, ora questo concetto di cumulatività si è radicalmente trasformato e, in alcuni casi, è addirittura venuto a mancare. Oggi non c’è più un futuro migliore del passato, ma c’è un presente che deve essere vissuto fino in fondo».
‘Costretti al qui e all’adesso’
Questa situazione non può non avere effetti sui giovani. «I ragazzi – illustra infatti il responsabile regionale di Pro Juventute – pensano soprattutto al presente, perché sono costretti al qui e all’adesso». Concrete, dice Lodi, le ragioni di questa impasse. «Chi è giovane si sente continuamente dire che è fondamentale essere formato, aggiornato e disponibile alla flessibilità immediata. Questo tipo di discorso richiama al presente, spogliando i ragazzi delle possibilità di immaginarsi nel futuro». Da qui il rischio di isolarsi. «Pensare al presente – avverte – non fa collettività, ma individualità. I ragazzi sono più orientati al sé che al noi. In un contesto democratico questa tendenza può diventare molto pericolosa, perché non permette di cercare e trovare soluzioni con gli altri».
A ciò si aggiunge la paura del futuro. «Sapere che nel futuro non c’è certezza, spaventa», osserva Lodi. «Prendiamo l’esempio di una giovane coppia. Al giorno d’oggi bisogna pensarci due volte a comprare un appartamento o a fare dei figli. E questo perché non c’è un minimo di garanzia di cosa succederà non tra cinque anni, ma addirittura l’anno prossimo». In altri termini, constata, «abbiamo in qualche modo defraudato i giovani dal pensare al futuro, ma questo ci si sta ritorcendo contro».
Economizzazione della pedagogia
Altro punto dolente, secondo Lodi, «l’economizzazione del discorso pedagogico». E illustra: «Quando parliamo di educazione parliamo di erogazione di servizi, di indicatori, di performance, di competitività. Sono tutte parole dell’economia, non della pedagogia». Non banali le conseguenze. «Parlare di competitività a scuola fa sì che al bambino venga insegnato di prevalere sull’altro. Competizione è avere a che fare con avversari, non con persone che percorrono insieme a noi una parte della nostra strada». Per il responsabile regionale di Pro Juventute, da questo punto di vista esistono dei paradossi curiosi in pedagogia: «Oggi si può fare formazione in una marea di modi diversi, accessibili a tutti, ma si va sempre più nella direzione di dividere le persone. La formazione è diventata qualcosa di individuale, non è più pensata per la collettività». Il motivo? «È il mercato del lavoro a richiederlo», sostiene Lodi, «e questo lo stanno sperimentando i ragazzi sulla propria pelle». Non tutti i giovani ne soffrirebbero allo stesso modo, «in una maniera o nell’altra – nota Lodi – c’è chi riesce a farci l’abitudine». Non tutti però. «Prova ne è – rileva – che il tema della dispersione scolastica sta emergendo con sempre maggior forza». E chiarisce: «Sempre più ragazzi non riescono o non accettano più di inserirsi in una prospettiva come quella offerta dalla scuola oggi. Non solo in Ticino, ovviamente, ma il tema si pone anche da noi». Interessanti, riprende Lodi, «i dati relativi alla formazione professionale, ambito da cui sta emergendo con sempre maggior prepotenza l’esigenza dei ragazzi di fare l’apprendistato a tempo parziale. È un dato molto significativo che attesta come i giovani chiedano più tempo da dedicare a loro stessi, perché quanto loro offerto non li soddisfa più. Oggi i ragazzi hanno bisogno di più tempo per loro così da recuperare ciò che non trovano nella scuola, ovvero la dimensione sociale».
Persone prima che persone competenti
Un filo conduttore lega questi aspetti. «C’è uno scollamento generalizzato – afferma Lodi – tra ciò che viene offerto ai ragazzi e i loro bisogni di crescita, che sia nel mondo della scuola o in quello del lavoro». Va da sé che «se un giovane non pensa al futuro perché ne ha paura, vive solo il presente con tutto ciò che questo comporta». Il nodo sta secondo Lodi nell’accettare che l’educazione richieda tempi lunghi, «è questo il punto di partenza». L’educazione, evidenzia, «è a volte purtroppo vittima dei ragionamenti che impongono di fare le cose in fretta. Per crescere, quindi per diventare persone ancor prima che persone competenti, non si possono accelerare i tempi». A dare sollievo, tuttavia, le esperienze di collettività. «La paura del futuro – indica Lodi – è anche dovuta al sentirsi soli davanti alle grandi difficoltà. La collettività serve proprio a quello, a capire di non essere soli». Siccome il mondo sta tuttavia andando nella direzione opposta, per Lodi è cruciale che la politica ticinese approfitti dell’«occasione storica fenomenale che ha tra le mani: la possibilità di ripensare la scuola nei suoi fondamenti». E precisa: «Non sto parlando di riforme o di modifiche del calendario o della griglia oraria, ma dell’esperienza di senso che la scuola dovrebbe offrire ai giovani e ai docenti». Necessario però un atto di coraggio. «Se oggi siamo confrontati con un numero sempre crescente di giovani che non vedono più nella scuola e a volte nella formazione professionale un contesto con cui potersi confrontare virtuosamente, questo mi dice che i ragazzi in questi contesti non ci vogliono più stare», evidenzia Lodi, che auspica: «Il malcontento che si percepisce mostra chiaramente che nella scuola di oggi c’è più di qualcosa che non torna. Per questo dico che l’occasione storica è fenomenale, questa necessità non può non essere raccolta».
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