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Renato Vallanzasca lascia il carcere

M.M

ll Tribunale di sorveglianza di Milano ha concesso ieri pomeriggio il differimento pena della detenzione in carcere, dove sta scontando plurimi ergastoli, per Renato Vallanzasca, 74 anni, 52 dei quali trascorsi in carcere. Oltre mezzo secolo di carcere ha distrutto Vallanzasca, adesso non c’è più con la testa. Una persona non autosufficiente non poteva più stare in carcere. I giudici hanno accolto l’istanza dei difensori Corrado Limentani e Paolo Muzzi che chiedevano di trasferire l’ex bandito che ha segnato la storia della Milano criminale negli anni 70-80 dal carcere di Bollate in una comunità terapeutica: omicidi (ha ucciso una decina di poliziotti), sequestri di persona e rapine. Come quella dell’11 agosto 1976 al Credito Italiano di piazza Cavour, il salotto buono di Como. “Una rapina capolavoro”, il giudizio del bandito della Comasina. Una sfida a Mario Nardone, questore di Como, fama di miglior poliziotto d’Italia per i risultati ottenuti nel periodo in cui era a capo della Squadra Mobile di Milano. Una sfida maturata dopo la lettura sul quotidiano ‘La Provincia’, mentre in piazza Cavour era seduto ai tavolini di un bar per un gelato: “Como è la tomba di ogni rapinatore” lo strillo del servizio. Mario Nardone spiegava le ragioni dell’assenza di rapine nell’area della sua giurisdizione. Le due sole statali di accesso, Lipomo e Camerlata, erano una garanzia. Bastava chiuderle. E chi si fosse infilato nel cul-de-sac della città era bloccato per sempre. Vallanzasca: “Mi gustavo il gelato e leggevo… Può darsi che il questore avesse ragione, ma valeva la pena di dare un’occhiata in giro. L’idea di far fare una figuraccia a quello sbruffone mi solleticava assai. Feci due passi: il bar era di fronte alla filiale del Credito italiano. Oltre i vetri si vedeva che era piena zeppa di impiegati”. Qualche giorno dopo recuperò Massimo Loi e altri due ragazzi. La mattina dell’11 agosto 1976 Vallanzasca era di nuovo in piazza Cavour. Entrare in banca fu semplicissimo e una volta dentro, armi spianate, si misero ad aspettare. Ancora il bandito della Comasina dal libro, che scritto assieme a Carlo Bonini nel 2010 è servito a Michele Placido, regista del film ‘Gli angeli del male’. “Una volta in banca gli impiegati ci dissero che le chiavi del caveau le avevano solo il direttore e il capo cassiere. Ma dei due, neanche l’ombra. La pausa pranzo però era finita e la banca si andava riempiendo. A mano a mano che entravano, controllavo i documenti e dopo il discorsetto di rito: ‘Non conviene a nessuno fare l’eroe. I soldi non sono vostri, quindi… state tranquilli e nessuno si farà male. Prima compaiono le chiavi, prima togliamo il disturbo’, li facevo sdraiare in terra”. Con il passare del tempo cresceva la paura, i primi nervi a cedere furono quelli dei complici di Vallanzasca, che avrebbero voluto andarsene a mani vuote. “Mollare in quel momento avrebbe significato lasciare gli impiegati nelle condizioni di poter dare l’allarme non appena fossimo usciti dalla banca”. Il direttore e il cassiere si presentarono alle tre. Vallanzasca e i suoi erano dentro da quasi due ore. Quando entrò, al direttore spaccarono il setto nasale, quindi convinsero il cassiere ad accompagnarli nel caveau. I soldi, poco meno di trecento milioni, furono infilati in due borse portavivande e in un sacchetto di plastica da supermercato.

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2024-09-14T07:00:00.0000000Z

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