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La battaglia legale di Noushin approda al Taf

L’avvocata della 36enne iraniana Noushin ha inoltrato ricorso al Taf contro la decisione della Sem di negare l’asilo a lei e ai suoi due bambini

di Katiuscia Cidali

Contro la decisione della Sem che ha negato l’asilo alla 36enne iraniana e ai suoi due figli minorenni è stato inoltrato ricorso al Tribunale amministrativo federale.

Continua a San Gallo, sede del Tribunale amministrativo federale (Taf), la battaglia di Noushin per poter restare in Svizzera. Il 2 ottobre l’avvocata Immacolata Iglio Rezzonico, rappresentante legale della donna iraniana che vive a Giubiasco, ha infatti inoltrato ricorso al Taf contro la decisione con cui la Segreteria di Stato della migrazione (Sem) il 28 agosto non ha riconosciuto alla 36enne e ai suoi due figli minorenni lo statuto di rifugiati e ne ha quindi respinto le domande d’asilo.

Noushin Azarnoush, di cui abbiamo raccontato la storia sul nostro giornale un mese fa, è una madre sola che vive nel borgo con due bambini, è divorziata da un marito violento ed è giunta in Svizzera nel 2021 dopo un lungo e difficile viaggio iniziato nove anni fa. Era fuggita poiché nel suo Paese non si sentiva più sicura essendosi convertita al cristianesimo. Durante il viaggio era stata anche vittima di una violenza sessuale subita in Grecia da un passatore, rimanendo incinta e dando alla luce un bimbo tre anni fa, tre mesi dopo l’arrivo in Svizzera. Cosa accadrebbe alla donna e a suo figlio, nato al di fuori dal matrimonio, in caso di rientro in Iran? Secondo la Sem, sulla base di accertamenti eseguiti rivolgendosi all’Ambasciata svizzera di Teheran, in caso di ritorno sarebbe “altamente improbabile che vada incontro a seri pregiudizi o a una procedura penale per la nascita del secondo figlio”. E ha aggiunto che “i rapporti extraconiugali sono oggi comuni in Iran e le autorità e i giudici iraniani riconoscono questa realtà”. In caso di rimpatrio – precisa per contro l’avvocata nel ricorso – la sua assistita rischia di perdere entrambi i figli: il maggiore, di 13 anni, a causa della conversione religiosa della madre potrebbe essere affidato alla famiglia del padre; mentre il minore, con buone probabilità, verrebbe internato in un orfanotrofio perché privo di certificato di nascita e perché nato da una violenza sessuale con padre dall’identità ignota. A questo figlio verrebbe inoltre negata la cittadinanza iraniana e quindi tutti i diritti a essa connessi. Stando alle leggi iraniane, il bambino potrebbe ottenerla solo qualora fosse discendente in linea diretta, da parte di padre, di un cittadino di quel Paese, cosa che non è. Una situazione – come fatto presente nel ricorso – in contrasto con la Convenzione sui diritti dell’infanzia secondo la quale ogni bambino ha diritto a un nome e ad acquisire una cittadinanza.

Pressione psicologica insostenibile

Nel ricorso la legale ha sottolineato anche il rischio che la 36enne, confrontata col rischio di perdere entrambi i figli, subisca una grande pressione psicologica. Inoltre evidenzia che in corso di procedura non sono stati prodotti i documenti sulla base dei quali la Sem ha stabilito che in caso di rimpatrio la donna non correrebbe alcun pericolo con un figlio nato al di fuori del matrimonio. Nonostante i solleciti dall’avvocata, la richiesta della Sem e il corrispondente rapporto dell’Ambasciata svizzera a Teheran del 12 giugno non erano stati trasmessi perché “contenenti delle informazioni che un interesse pubblico importante impone di mantenere segrete”. «Non comprendo che interesse pubblico ci possa essere dal momento che si tratta di questioni specifiche relative alla situazione personale della signora», evidenzia Iglio Rezzonico.

‘La sua fede è vera’

Sempre la Segreteria di Stato per la migrazione nella sua decisione aveva sollevato dubbi riguardo alla reale fede cristiana di Noushin, sostenendo che nelle audizioni aveva fornito dichiarazioni generiche e vaghe. La legale ha ribattuto riportando frasi molto precise e coerenti fornite nel corso di tutte le audizioni. «In più ho prodotto le prove di quanto pubblicava su Instagram dove condivideva passi della Bibbia, contenuti di carattere cristiano, delle preghiere su Gesù», spiega Iglio Rezzonico. Per contro la Sem nella decisione ha osservato che nei contenuti pubblicati “non vi erano fotografie che la identificavano e nonostante vi sia il suo nome niente lascia pensare che queste esigue attività sul social possano aver attirato l’attenzione delle autorità”; viene anche fatto notare che le pubblicazioni si erano interrotte nel febbraio 2021. «Stava vivendo un periodo molto difficile, è normale che abbia smesso di pubblicare. Ma lei già da tempo aveva cominciato a diffondere il messaggio cristiano sul suo profilo», precisa l’avvocata.

I dubbi nel periodo più difficile

Sempre la Sem aveva evidenziato che dopo le difficoltà riscontrate nel corso del viaggio, la fede cristiana di Noushin aveva vacillato e che la donna si era detta confusa riguardo al proprio orientamento religioso. «Aveva appena subìto una violenza sessuale e aveva dei dubbi perché credeva che Dio l’avrebbe protetta. Ma quante persone hanno dei dubbi sulla propria fede nei momenti difficili? Questa è la prova che comunque lei credente lo era, anche se per un momento a causa delle avversità della vita si era sentita abbandonata», osserva Iglio Rezzonico.

L’avvocata ha fatto anche presente che nel periodo delle audizioni con la Sem la sua assistita era prossima al parto, tanto che in più occasioni aveva dichiarato: “Forse devo andare perché non mi sento tanto bene e sono vicina al termine”. «Pur essendo stata comunque coerente, va anche detto che per lei in quel periodo era difficile sostenere un’audizione di quel tipo», conclude la legale.

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2024-10-16T07:00:00.0000000Z

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