Famiglia dello Sri Lanka rischia l’espulsione
Padre, madre e tre figli sono ben voluti dalla comunità locale, che si è mobilitata lanciando una petizione. In campo anche le autorità della cittadina
di Daniela Carugati
Integrati, ma non a sufficienza. Non abbastanza, almeno, per poter restare in Svizzera: questo stando alle autorità federali e cantonali. Da mesi la famiglia di Mohamed Shakir – moglie e tre figli – vive infatti in un limbo, nell’attesa di conoscere quale sarà il suo destino. Originario dello Sri Lanka, da oltre cinque anni su suolo elvetico, questo nucleo familiare, giunto qui da richiedente l’asilo, ha trovato a Chiasso la possibilità di ricominciare. Tutti – tranne il più piccolo di meno di 2 anni, nato qui – hanno imparato l’italiano e condividono la vita della comunità locale, dalla quale sono ben voluti. Anche la scuola ha aperto loro le porte: la giovane Fathima, 14enne, frequenta la quarta media, il fratellino, Abdurrahman di 8 anni, le elementari. La loro quotidianità, in effetti, scorreva nella normalità, fino a quando non è calata la decisione che ha cambiato tutto e che, respinta la domanda d’asilo, ora potrebbe costringerli a un rimpatrio forzato nel loro Paese, dal quale sono fuggiti e dove la loro esistenza potrebbe essere messa a rischio. In passato tanto il capofamiglia che sua moglie Fathima sono stati vittime di minacce e violenze.
Un appello e una raccolta firme
Si confida però di poter ancora scrivere un finale diverso. Una speranza condivisa anche dalla popolazione chiassese e da associazioni del posto, che si sono subito mobilitate facendo passare di mano in mano una petizione da indirizzare al Consiglio di Stato, affinché si attivi perori la causa presso le autorità federali. Quello stesso governo cantonale al quale è stata rivolta una istanza affinché alla famiglia venga concesso un permesso di dimora B per i casi di rigore. Al loro fianco lo Studio legale Iglio Rezzonico, gli Shakir hanno impugnato i verdetti negativi e stanno cercando di lottare per il loro futuro. Una battaglia alla quale, come detto, si sono unite le istituzioni e la cittadinanza locali. È stato lo stesso sindaco di Chiasso, Bruno Arrigoni, l’8 dicembre scorso, in occasione della rituale accensione dell’albero Natalizio a lanciare un appello in loro sostegno, corroborato da una missiva inviata al Cantone e firmata dal Municipio.
In attesa delle decisioni
La loro richiesta all’Ufficio della migrazione per ottenere il permesso B risale, in effetti, al marzo scorso. Poi la strada è stata tutta in salita. Prima, come ci confermano i legali che stanno seguendo il caso, in luglio l’istanza è stata rigettata; in seguito il veto è stato impugnato davanti al Servizio dei ricorsi del Consiglio di Stato, postulando, in via provvisionale, la sospensione dell’esecuzione dell’allontanamento. Domanda, quest’ultima, alla quale il governo ha risposto in modo negativo, non autorizzando, dunque, la famiglia a rimanere in Svizzera in attesa della decisione finale. E qui si è fatto appello al Tribunale cantonale amministrativo (Tram), che ora dovrà pronunciarsi in merito. Detto altrimenti, ci si sta muovendo su due piani, sempre con l’obiettivo di risparmiare a padre, madre e figli l’espulsione. «A questo punto – ci confermano gli avvocati – dobbiamo attendere le rispettive decisioni». E questo nella speranza, ci dicono, che il Tram autorizzi la famiglia a restare, in via provvisionale, e che a livello cantonale venga concesso il permesso.
Il nodo, il grado di integrazione
Agli occhi delle autorità, dove sta il problema?, chiediamo. «Sebbene il loro soggiorno in Svizzera superi i cinque anni e si esprimano correttamente in lingua italiana, per l’Ufficio della migrazione il grado di integrazione raggiunto – in particolare dei coniugi, ndr – non è particolarmente rilevante per giustificare una modifica del loro status». E in mancanza di un permesso, ci fanno presente i legali, non è possibile svolgere un’attività lavorativa. Nonostante la voglia di darsi da fare, come dimostra Mohamed Shakir, non manchi. Nel merito, aggiungono, «le autorità per concedere un permesso di dimora B per caso di rigore pretendono un’integrazione “sopra la media”, anche se è la stessa legge, in questi casi, a impedire di raggiungere un’integrazione completa, vietando qualsiasi tipo di attività lavorativa». Una condizione, ci confermano, che in Ticino in questo momento riguarda non poche persone.
Educazione alla solidarietà
Per la famiglia accolta a Chiasso, nel frattempo, la mobilitazione continua. Un attivismo che ha contagiato pure la realtà scolastica locale. Anche se aver dato a Fathima la possibilità, su sua richiesta, di raccontare di lei ai suoi compagni delle Medie, informando sulla raccolta firme in atto, ha fatto storcere qualche naso. C’è chi, infatti, ha sollevato “un problema di principio” per aver coinvolto dei minori in “iniziative di natura politica o para-politica”. «La voglia di far sentire la nostra studentessa e la sua famiglia meno soli ci ha spinto ad accogliere di slancio la sua richiesta di portare la sua storia e la petizione nelle classi: il suo ci è parso un gesto molto responsabile – ci spiega Marco Calò, direttore della Scuola media di Chiasso –. Si tratta di una ragazza molto matura per la sua età. Mi sono reso conto solo dopo della valenza di quella iniziativa, con cui in ogni caso si voleva solo valorizzare quel gesto. Mi sono quindi sentito di scrivere alle famiglie degli studenti per illustrare, in tutta trasparenza, quanto era accaduto, riconoscendo che la modalità scelta non era stata la più consona, non avendo informato preventivamente i genitori. Me ne assumo la responsabilità a nome della direzione e ne farò tesoro per il futuro; soprattutto, qualora taluni allievi avessero avvertito una pressione. Non si può però parlare, come ho sentito, di costrizione: si direbbe il falso».
‘Il messaggio è passato’
Al di là del rispetto delle regole, le reazioni positive, in ogni caso, non sono mancate. «In risposta alla mia mail, devo ammetterlo, mi sono arrivate numerose missive di genitori che hanno capito il nostro intento, condividendolo e dichiarandosi pronti ad aderire alla raccolta firme – ci racconta un confortato direttore scolastico –. Mi sono sentito dire che quando si dà retta al cuore non si sbaglia; che è stata un’occasione preziosa di riflessione utile ai ragazzi per avvicinarsi con maggiore consapevolezza a realtà che toccano da vicino anche loro compagni e che fanno crescere. Quanto è successo non toglie nulla, del resto, al valore dell’iniziativa, che adesso verrà veicolata solo all’esterno della scuola, e alla solidarietà che ha suscitato. Quello della famiglia Shakir è un bell’esempio di integrazione: Fathima non manca un giorno di scuola. E a Chiasso non è il primo caso del genere». Alunni e alunne, d’altro canto, loro sponte hanno dato voce alle difficoltà della loro coetanea avvicinando e conquistando le persone al Mercatino di Natale di Chiasso, che hanno sottoscritto con empatia, in un centinaio, la petizione. «Noi docenti, d’altra parte, abbiamo attivato i nostri contatti e abbiamo potuto constatare che l’eco è molto ricco – ci conferma Calò –. Il merito dell’iniziativa, insomma, è valida e di valore. Spero quindi che i genitori abbiamo compreso. Ho ribadito loro che la scuola resta un luogo di educazione, tutela e rispetto delle sensibilità di tutti». A cominciare da chi è meno fortunato.
LUGANESE / MENDRISIOTTO
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2025-12-20T08:00:00.0000000Z
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