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Ponti, muri e ninne nanne

Dopo la brutta prestazione in Conference League, il Lugano torna a occuparsi del campionato con un’insidiosa trasferta contro lo Young Boys

di Roberto Scarcella, inviato a Washington

Bridges, not walls. Ponti, non muri: è un modo diretto e – ammettiamolo – anche un po’ abusato di illustrare due visioni del mondo. Però è anche il perfetto, letterale riassunto di due anni a spasso per gli Stati Uniti. Un viaggio volutamente iniziato davanti al muro che divide la città messicana di Tijuana da San Diego e che – per puro caso –, termina, proprio mentre questa edizione del giornale va in stampa, con un concerto di Leon Bridges a Washington. Bridges è un soulman nato fuori tempo massimo: ha 35 anni, ma ascoltare la sua voce e la sua musica è un dolce ritorno all’età dell’innocenza, nostra e dell’America. Quando lo ascolti ti vengono in mente Sam Cooke e Otis Redding, Etta James e Nina Simone, i drivein, le Cadillac color pastello, le uniformi dei college, la tv a tubo catodico che trasmette “Happy Days”. Bridges viene da Atlanta, una delle città simbolo dell’America nera. Ad aprire il suo concerto ci saranno gli Hermanos Gutiérrez, una coppia di fratelli che suona musica latina strumentale: la loro madre è ecuadoriana, il padre è svizzero. Sono cresciuti a Zurigo ascoltando il compositore argentino Gustavo Santaolalla e l’italiano Ennio Morricone. Sono simbolo di culture che danno e prendono l’una dall’altra, che possono coesistere. Ponti, non muri.

Nell’ottobre del 2022, alla vigilia delle elezioni di Midterm, siamo venuti a prendere la temperatura all’America, in particolare all’Ovest: abbiamo raccontato una San Francisco ormai invasa dagli homeless, che occupano perfino la strada davanti alla City Hall senza che nessuno possa farci molto; abbiamo visto da vicino l’inquietante vacuità di Las Vegas, attraversato l’infinita Los Angeles, una metropoli sfuggita di mano e che non pare nemmeno più adatta all’uomo, siamo stati a Burbank, (...)

Nello stesso modo in cui una rondine non fa primavera, una sconfitta – seppur brutta – non rappresenta in automatico la conferma di un malessere destinato a sfociare in influenza. A Topola, in Conference League, il Lugano ha giocato male, ha disputato quella che è senza dubbio la prestazione peggiore della stagione e se ne è tornato a casa con quattro pappine sul groppone che lo fanno scivolare dal quarto all’undicesimo posto in classifica, vale a dire al di fuori delle top-8. Tutto vero, ma quello visto all’opera in Serbia è stato un Lugano troppo brutto per essere reale. L’avversario, lo si è sottolineato, si è rivelato più forte – fisicamente, tatticamente e tecnicamente – di quanto tutti (eccetto forse Mattia Croci-Torti) si sarebbero aspettati e ciò ha con ogni probabilità influenzato l’atteggiamento dei giocatori. Il messaggio del mister bianconero non è passato e Saipi e compagni sono entrati in campo con piglio non propriamente adatto al cimento. A confermarlo, l’inusuale litania di errori individuali che hanno evidenziato una squadra, quella serba, molto più pronta a lottare con caparbietà e idee chiare, e un’altra, quella bianconera, che sin dal gol d’apertura di Stanic si è arrovellata in una serie di dubbi dai quali non è più riuscita a riemergere. Il secondo (Grgic), ma soprattutto il terzo (Hajdari) e il quarto (Bottani) gol dei serbi sono stati facilitati da errori individuali come raramente si sono visti nel corso della gestione di Croci-Torti, perlomeno non in numero così importante nel corso di una sola partita. Insomma, a Topola non ha funzionato nulla e la prestazione è stata di quelle da dimenticare in fretta, non prima però di averla analizzata nei minimi dettagli per capire cosa sia davvero successo.

Resta il fatto che un passo falso, a maggior ragione in un periodo tanto denso di impegni tra Super League e Conference, non rappresenta la fine del mondo. A meno che non sia il segno di un’incipiente crisi fisica, legittima vista la necessità di giocare due partite a settimana, ma che sarebbe quanto meno preoccupante al momento di entrare nell’ultima “ligne droite” prima della pausa natalizia. Intendiamoci, la crisi può sorgere improvvisa, senza preavvisi, ma nel caso del Lugano sembrerebbe un’ipotesi piuttosto remota. Croci-Torti nel corso degli ultimi mesi ha provveduto a far girare saggiamente le forze a sua disposizione e se alcuni infortuni hanno costretto qualche giocatore a tirare il collo (ad esempio Marques, giovedì alla decima partita consecutiva) nelle ultime uscite la squadra non è apparsa carente di energie. È vero che nei due impegni contro l’Yverdon e a Zurigo contro il Grasshopper il Lugano non ha brillato come suo solito, ma appena due settimane fa era stato protagonista di una prestazione sontuosa contro lo Young Boys, nel corso della quale non aveva dato il benché minimo indizio di stanchezza.

Se quello contro il Backa Topola sia stato o meno un passo falso isolato, lo sapremo a breve giro di posta, domani pomeriggio in occasione della trasferta a Berna, contro uno Yb privo, oltre che di molti infortunati, anche di Monteiro e Ugrinic (squalificati). Dopo l’ultimo impegno internazionale e la vittoria a Boleslav, il Lugano aveva affrontato proprio lo Young Boys, cogliendo una limpida vittoria. La sorte vuole che le due squadre si ritrovino ancora una volta dopo una settimana europea, chiusa per entrambe con la coda tra le gambe. CrociTorti dovrà fare le scelte giuste per capire chi dalla trasferta di Topola è uscito con le ossa rotte e chi, invece, ha dato prova di voler immediatamente invertire la rotta. Hajdari (pessimo proprio nel giorno della sua convocazione in Nazionale) e Bottani (espulso all’89’ per un fallo di reazione) sono certamente due che dalla Serbia tornano con il morale sotto i tacchi, mentre Bault-Guillard e Marques dovrebbero poter approfittare del ritorno a disposizione di Zanotti e Valenzuela per poter tirare il fiato. Bislimi, utilizzato solo part-time in Serbia a causa di una tonsillite che nell’ultima settimana lo ha disturbato, potrà essere utile in mezzo al campo, dove Doumbia dovrebbe rilevare un Grgic apparso lento e macchinoso. E se davanti, Steffen e Aliseda (risparmiato giovedì per un colpo subito contro l’Yverdon) non si discutono, rimane aperto il tema della prima punta, perché a Topola Vladi non ha convinto, insufficiente sia nel difendere palla per far salire la squadra, sia nella capacità di rendersi pericoloso davanti alla porta avversaria. A Berna potrebbe giocare Przybylko, se non altro per la forza fisica e la statura in grado di permettergli una lotta ad armi pari con i difensori gialloneri, tuttavia il problema di un attaccante di riferimento, di quelli che la buttano dentro con regolarità, rimane sul tavolo e, meglio prima che dopo, andrà affrontato dalla dirigenza. Nella classifica dei marcatori, Renato Steffen, con tre reti, è il miglior realizzatore bianconero, unitamente a Przybylko e Aliseda, i quali tuttavia vantano rispettivamente una media di 0,38 e 0,30 gol a partita, contro lo 0,50 dell’argoviese che rimane comunque inferiore allo 0,60 di Dereck Kutesa (Servette) e Juan Perea (Zurigo), autori di sei reti ciascuno. Insomma, per quanto efficace possa essere Steffen e nonostante Aliseda stia dimostrando di tornare quello di due anni fa, la mancanza di una punta di peso si sente. Speriamo che al Wankdorf, come spesso gli capita, Croci-Torti sappia cavare dal cilindro quel coniglio in grado di fare la differenza e permettere al Lugano di proseguire a vele spiegate la sua rincorsa al titolo nazionale. Un ultimo, importante sforzo prima di una pausa-Nazionale che per molti sarà manna dal cielo.

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2024-11-09T08:00:00.0000000Z

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