Mozart e Salieri, il veleno è servito
In arrivo a Locarno ‘Amadeus’ di Peter Shaffer nella produzione del Teatro dell’Elfo di Milano. Ne parliamo col regista e interprete Ferdinando Bruni
Di Sabrina Faller
Fin dalla prima rappresentazione a Londra nel 1979 il dramma di Peter Shaffer ‘Amadeus’ è stato un successo. Ispirato al breve testo in versi di Aleksander Pushkin ‘Mozart e Salieri’, del 1830, il lavoro di Shaffer racconta la rivalità – di cui non abbiamo storicamente traccia – fra i due compositori, che secondo la leggenda avrebbe portato l’italiano ad avvelenare l’austriaco, morto in circostanze mai chiarite all’età di 35 anni. Fu lo stesso Shaffer ad adattare il suo lavoro per il cinema nel 1984, con la regia di Milos Forman, e il film si portò a casa otto premi Oscar.
Delle numerose produzioni del dramma di Shaffer si ricorda quella francese con Roman Polanski, regista e interprete nel ruolo di Mozart, nonché regista della produzione italiana con Luca Barbareschi protagonista. Oggi è il Teatro dell’Elfo di Milano a mettere in scena la fortunata pièce avvalendosi dell’allestimento di Ferdinando Bruni, che è anche interprete nel ruolo di Salieri, e di Francesco Frongia. Preceduto da recensioni eccellenti, e dal passaparola entusiasta del pubblico, lo spettacolo approda domani, martedì 2 dicembre, al Teatro di Locarno, in replica il 3 (alle 20.30). E di questo parliamo con Ferdinando Bruni.
Perché tornare a proporre ‘Amadeus’ oggigiorno?
È un vecchio progetto nostro che non era andato in porto per questioni di diritti d’autore non disponibili al momento, perciò è sempre rimasto il desiderio di metterlo in scena e poi, come spesso succede, le occasioni capitano se si trovano le persone giuste per realizzarle, quindi noi, dopo aver fatto ‘Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte’ qualche anno fa con Daniele Fedeli nel ruolo del ragazzino autistico protagonista del lavoro, abbiamo pensato che avevamo finalmente trovato il nostro Mozart e abbiamo deciso di realizzare questo progetto che stava lì da tanti anni, perché comunque è un testo che mette in scena temi interessanti anche per chi fa il nostro lavoro: il rapporto fra artigianato e arte, fra genialità e talento, fra successo di pubblico e traccia che uno può lasciare nella storia. Sono temi che ci riguardano da vicino e che poi vanno a toccare in diversi modi e a diversi livelli la vita degli spettatori. Inoltre mettendolo in scena abbiamo scoperto un testo che ha tante stratificazioni, da quella più esterna della fabula a quella del rapporto dell’uomo con Dio, di quanto Dio ascolti o no l’uomo e di quanto l’uomo possa venire a patti con Dio, cosa che Salieri pensa di poter fare.
Questo testo ci ha restituito l’immagine di un Mozart inedito, che fece scalpore: sgradevole, volgarotto, geniale nella musica ma incapace di relazionarsi con il resto, oggi diremmo Asperger ad alto funzionamento.
Certo. Allora fece scalpore perché erano state pubblicate anche delle lettere di Mozart scritte nel linguaggio di un ragazzino impertinente e anche dell’umorismo austriaco dell’epoca, che non era evidentemente raffinatissimo e che ci restituiva un’immagine molto lontana da quella specie di angioletto che era il Mozart dei cioccolatini, diffusa fino ad allora. Adesso si è ulteriormente evoluta perché allora si parlava di rockstar, mentre oggi con la diffusione della conoscenza di queste sindromi, lo possiamo definire un Asperger, cioè una persona geniale in alcune funzioni e disfunzionale in altre.
Lo spettatore è coinvolto nello spettacolo, chiamato a parteciparvi in prima persona. Non è sempre stato così nel testo, e neppure nel film.
Bisogna ricordare che del testo sono state fatte varie versioni dall’autore stesso. Nel film Salieri si confessa con un giovane prete e anche nelle primissime versioni teatrali era così. Qui Salieri ha una specie di rapporto diretto col pubblico, diventa narratore e il pubblico viene coinvolto in quanto testimone della vicenda. Ciò fa sì che si attivi un meccanismo molto interessante, che la drammaturgia anglosassone ha sviluppato in questi anni, cioè il fatto di essere dentro e fuori la vicenda, che comporta una doppia richiesta all’attore. Salieri è narratore di un racconto artefatto, di una rappresentazione dichiarata, ma poi entra nelle scene e vi si immerge, e deve viverle. Questo per un attore è molto stimolante. Lo abbiamo visto anche in altri testi che abbiamo affrontato, da ‘Frost/Nixon’ a ‘History boys’.
Alla fine lo spettatore che fa, parteggia per uno dei due? Per chi parteggia, perché noi abbiamo da una parte un Mozart geniale ma sgradevole, dall’altra un Salieri molto umano ma cattivo…?
Come sappiamo, i cattivi a teatro e in letteratura sono quelli che piacciono di più. E inoltre Salieri è veramente diabolico, perlomeno il Salieri costruito da Peter Shaffer, ed è un personaggio con tante sfumature, che racconta le sue debolezze, il suo tormento. Il nostro Mozart ha anche delle tenerezze per cui suscita pena, non è soltanto sgradevole e volgare, in ogni caso è volgare in un modo piuttosto infantile.
E la musica che ruolo ha nel vostro spettacolo? Quale musica ascolteremo?
Ascolteremo, su richiesta del testo, tutta una serie di musiche mozartiane, dalla Serenata ‘Gran Partita’ in si bemolle maggiore K361 nel momento in cui Salieri capisce la grandezza di Mozart, a brani dal Requiem, dal ‘Ratto dal serraglio’ e dalle maggiori opere mozartiane. Poi ci sono musiche di accompagnamento che noi malignamente abbiamo preso tutte da Salieri. Anche se non sono dichiarate, c’è parecchio Salieri nello spettacolo.
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2025-12-01T08:00:00.0000000Z
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