Nei territori mentali di Félix Vallotton
Al Museo cantonale delle belle arti (Mcba), a 100 anni dalla morte Losanna dedica al suo concittadino la più grande retrospettiva mai allestita. Fino al 15 febbraio
Di Claudio Guarda
Nel centesimo anniversario della sua morte, la Città di Losanna dedica al suo concittadino Félix Vallotton (Losanna, 1865 - Parigi, 1925), la più grande retrospettiva che sia mai stata fatta: 250 opere che sviluppano un articolato percorso cronologico e tematico in cui si ripercorrono le tappe salienti nonché temi e soggetti di questo nostro pittore partito per la Francia all’età di sedici anni.
È piuttosto abituale, nelle recensioni su Vallotton, che ci si soffermi a lungo (e con buone ragioni) sul ricco fermento dei suoi primi e intensi vent’anni parigini, dal 1882 al 1900 circa, quando, grazie alla perizia tecnica, alle innovazioni formali e al successo delle sue illustrazioni in bianco e nero – silografie caratterizzate da uno stile grafico sintetico e molto moderno – si guadagna un posto di tutto rispetto nel mondo culturale e artistico della capitale francese. È il momento in cui stanno vistosamente crescendo la stampa e la cartellonistica. Ci è riuscito con non pochi sacrifici, lavorando sodo anche per mantenersi, illustrando libri e riviste – d’arte, letterarie o satiriche, perfino di moda o di costume – tra cui la celebre ‘Revue Blanche’ che non solo ha come collaboratori poeti e scrittori di primo piano, ma che è anche punto di riferimento dei Nabis (i Profeti), il gruppo di artisti di Pont-Aven di cui entra a far parte nel 1892 e con i quali espone fino al 1900, quando poi si scioglie.
Il giro di boa
Ci si muove invece per rapidi passi sugli ultimi 25 anni, a partire all’incirca dall’anno 1900 che è un vero e proprio giro di boa quantomeno nel suo stile di vita, ma non solo. Si è infatti appena sposato con una facoltosa vedova, madre di tre figli, che gli garantisce un sicuro sostegno economico e anche un mercato dal momento che proviene da un’influente famiglia di mercanti d’arte parigini che apriranno poi una loro succursale pure a Losanna. Sempre in quell’anno egli decide inoltre di porre fine al suo statuto di ‘straniero’ in terra di Francia, perché gli crea non pochi problemi anche espositivi, e si naturalizza francese. Rispetto al trambusto e alle incertezze degli anni precedenti, adesso predilige la tranquilla sicurezza della vita borghese, passata in famiglia e impreziosita da ripetuti soggiorni in rinomate località di turismo, fa pure qualche viaggio all’estero in compagnia della moglie, scrive pezzi teatrali e ben tre romanzi, ma soprattutto, messa da parte la grafica d’arte, da questo momento si dedica quasi esclusivamente alla pittura. Ora, quello che stupisce passando in rassegna questa sua più che ventennale produzione pittorica, è la varietà di soluzioni formali e stilistiche: una evidenza (che solleva anche qualche interrogativo) sulla quale in genere si scivola via leggeri, sempre riconoscendo e lodando la sua indubbia maestria sia disegnativa che coloristica. In effetti basta anche solo un colpo d’occhio ai quadri appesi alle pareti della rassegna losannese per sentire come i colori e le atmosfere dei suoi paesaggi ti vengono incontro, quasi surreali e fosforici. Il paesaggio atmosferico e vibratile degli impressionisti si è ora come rappreso in zone dai diversificati colori quasi irreali, talora fluidificanti, tal altra dati invece per fasce parallele ferme e distinte, campite e piatte, scalate in verticale o giustapposte in orizzontale. Il paesaggio è ancora tutto ben visibile, ma siamo oltre il naturalismo ottocentesco e impressionistico, oltre il Liberty e ai confini dell’immaginario. Questo significa esplorare e superare i limiti della realtà, avventurarsi in territori mentali, concettuali o creativi dove le leggi della logica comune non valgono, per entrare nella dimensione della psiche, del sogno o del simbolo… dove le cose sono quel che sono, ma forse anche di più di quel che appaiono. Lo stesso si potrebbe dire per i suoi nudi femminili e le sue nature morte.
Pluralismo di forme e linguaggi
A questo punto è importante riposizionare Vallotton nel contesto dell’arte a Parigi nel primo 900. Sono anni in cui, con l’affermarsi delle tendenze avanguardistiche, si assiste a un radicale sconvolgimento della tradizione artistica. Vallotton è perfettamente consapevole di quanto sta avvenendo, egli vuole però trovare una sua modernità e una sua voce restando dentro nel solco della tradizione, anche a rischio di venir considerato un “passato di moda”. In effetti, in tutti i generi della tradizione in cui si cimenta – il paesaggio, la natura morta, il nudo femminile e perfino il ritratto – è come se si cercasse una sua via di uscita che vada oltre il naturalismo, ma senza rompere con la tradizione, una strada che apra su orizzonti nuovi. Si spinge lungo strade diversificate quando non opposte, anche all’interno di uno stesso genere, come nel paesaggio o nel nudo femminile che, dalla nobile memoria dei classici – da Giorgione a Ingres, ma passando pure per Courbet e Cézanne – si spinge poi fino alla prosaicità del quotidiano, alla spoglia nudità del vissuto. Vallotton, insomma, non cerca tanto un’unità di stile e di forme che attraversi omogeneamente tutte le sue pitture e tutti i suoi generi, quanto piuttosto una mobilità stilistica, un pluralismo di forme e di linguaggio anche all’interno dello stesso genere. Ma, grazie a queste sue strade non battute, una volta concluso il tempo della grande rottura a opera delle avanguardie storiche, egli si ritroverà in consonanza con quello che sarà il “ritorno all’ordine”, non lontano tanto dalla Metafisica di De Chirico, dalla Nuova Oggettività e dal Realismo Magico.
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2025-12-27T08:00:00.0000000Z
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