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‘L’atlante dei posti sbagliati’, nella psichedelia dei ricordi

Dinaw Mengestu e l’evasione dalle proprie origini

Di Martina Parenti

Per i gatti è tutto più semplice. Una volta venuti al mondo sanno, per istinto, che la madre resterà con loro solo per i primi due o tre mesi: poi non li riconoscerà più. Non per crudeltà, ma per una naturale dimenticanza. Nessun trauma, nessuna recriminazione. Il piccolo cresce senza interrogarsi su come è stato trattato, ignaro di cosa significhi essere amato troppo, troppo poco o nel modo sbagliato. Del padre, dopo la fecondazione, non resta alcuna traccia. All’essere umano, invece, questa semplicità non è concessa. Abbiamo un inconscio che registra tutto fin dalle prime fasi della vita. E basta davvero poco per lasciare un segno: l’equilibrio è fragile e si gioca quasi tutto nell’infanzia.

Un viaggio a ritroso

Difficile evadere dalle proprie origini. E non sorprende come di letteratura sull’argomento ce ne sia parecchia. ‘L’atlante dei posti sbagliati’ dello statunitense di origine etiope Dinaw Mengestu fa parte di questa categoria. Uscito per NN editore nella traduzione di Antonio Matera, il romanzo segue in prima persona la voce di un giovane afroamericano: l’infanzia a Chicago, la giovinezza a Washington, poi una nuova vita in Francia. Una relazione che vacilla, un figlio fragile, e una vena autodistruttiva con una particolare predilezione per le sparizioni. Tornato a Washington per far visita alla madre, Mamush scopre che Samuel, l’uomo che gli ha fatto da padre, si è appena tolto la vita. Comincia così un viaggio a ritroso nella storia familiare, dominato dalla presenza di questa figura maschile: un tassista dalle mille vite, giunto dall’Etiopia e tormentato da dipendenze, che la madre ha sempre accudito proteggendo però, con ostinato silenzio, gran parte del loro passato. L’esistenza del giovane è scandita dalle apparizioni e dalle sparizioni di un uomo enigmatico: un quasi padre capace di tenerezze profonde e, insieme, di una violenza che avvicina e respinge le persone che gli stanno accanto. Il viaggio oltreoceano si trasforma così in un percorso iniziatico, in cui il tempo si dilata e si sfrangia tra le varie tappe, come se il protagonista volesse rimandare all’infinito il momento dell’arrivo. Perde un volo, ne prende un altro per una meta diversa, e intanto attraversa i luoghi della sua infanzia: un amarcord dove passato e presente si intrecciano in un andirivieni che, con l’andare della narrazione, si fa sempre più psichedelico.

Per sottrazione

La figura di Samuel, con le sue verità di immigrato senza più alcun posto dove sentirsi a casa, invade tutti i ricordi diventando voce fantasmatica, presenza immaginaria e ingombrante di un io che sprofonda nella crisi, indeciso se evadere dalle proprie radici o se buttarcisi dentro con tutte le scarpe. Con una scrittura fresca, abile e asciutta Mengestu procede per sottrazione, dipingendo un grande affresco delle relazioni costruito attraverso i silenzi, le frasi accennate e mai finite, le fotografie che la compagna di lui scatta e invia, lasciando al destinatario il compito di interpretare i messaggi.

‘L’atlante dei posti sbagliati’ è un romanzo che sfugge, precipitando il lettore in uno spaesamento dove vengono meno, piano piano, tutti i punti di riferimento. I personaggi sembrano evaporare come pellicole bruciate al sole, allontanarsi nel fumo di luoghi e ricordi forse reali, forse no. Ci si aggrappa al narratore, per poi rendersi conto che anche lui ci ha accompagnato in un bosco dove il sentiero si è cancellato. Uno smarrimento certamente voluto dall’autore, ben orchestrato nel continuo gioco tra reale e immaginario, mentale e fisico, ma che a tratti risulta forse un po’ eccessivo.

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2025-12-29T08:00:00.0000000Z

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