laRegione

‘Il femminicidio di una donna che non ubbidiva’

Delitto di via degli Albrici a Chiasso: l’accusa chiede due condanne per assassinio e propone 19 anni di carcere per il marito e la detenzione a vita per il cognato

Di Prisca Colombini

Non una «tragedia improvvisa, ma una decisione maturata nel tempo, discussa e pianificata». La 40enne uccisa a Chiasso l’11 settembre del 2024 «è morta perché ha scelto di essere una donna libera in una cultura che non glielo permetteva. Il femminicidio di una donna che non ubbidiva». Così la procuratrice pubblica Chiara Buzzi ha introdotto le richieste di pena per i due fratelli srilankesi a processo davanti alla Corte delle Assise Criminali presieduta dal giudice Amos Pagnamenta per l’assassinio della moglie e, rispettivamente, cognata avvenuta nell’appartamento di via degli Albrici, a Chiasso. Una morte apparsa da subito «misteriosa» e per la quale i due imputati hanno dimostrato «totale disprezzo della vita altrui». Nei confronti del marito, un 45enne, l’accusa ha proposto una condanna a 19 anni di detenzione (e 15 anni di espulsione); per il cognato 50enne la detenzione a vita.

La svolta arrivata dalle videocamere

Nel ricostruire quanto accaduto nell’appartamento di Chiasso, l’accusa non si è nascosta nell’affermare che «fino a una decina d’anni fa forse non avremmo scoperto questo assassinio, che poteva passare come delitto perfetto». La svolta è arrivata grazie ai filmati delle videocamere della cittadina, «come da prassi, sequestrate per verificare le dichiarazioni delle parti e il racconto del marito» e che hanno restituito l’immagine di un altro uomo di etnia tamil che entra nell’edificio». Ovvero «il punto cardine dell’inchiesta» che ha portato gli inquirenti a mettere alle strette il marito fino alla confessione «di averla uccisa perché mi tradiva con diversi uomini» aggiungendo di «averlo fatto per il bene della figlia». La 40enne aveva una nuova relazione «che viveva alla luce del sole – ha aggiunto Buzzi –. La coppia era in crisi da anni, viveva separata in casa in attesa di organizzarsi sull’affido della figlia. Erano quindi una donna con una nuova relazione e un marito che accettava, o fingeva di farlo, una separazione sempre più concreta». Il nuovo compagno ha frequentato l’abitazione di Chiasso fino a tre giorni prima del delitto. La donna andava però «sottomessa, con tutte le forze, con ogni mezzo, definitivamente. E se non ci riusciva il marito, doveva intervenire un familiare».

Fratelli a confronto

Rispondendo alle domande del giudice, il 45enne ha spiegato di avere agito per sua figlia. «Sapevo che mia moglie aveva rapporti con altri uomini, ma tornava da me e mi chiedeva perdono». L’uomo si è confrontato col fratello, il quale «voleva venire a parlare con mia moglie e rimetterci assieme». La decisione di uccidere la donna «è stata di mio fratello: quando ha saputo che l’altra persona era a casa nostra ha detto che parlare non aveva più senso e che bisognava uccidere». L’uomo si è dichiarato molto innamorato» della moglie e dopo la proposta del fratello «non sapevo cosa fare. Ho acconsentito: avevo paura che portassero via mia figlia ed ero anche geloso». Il giudice ha voluto sapere dall’imputato come viene visto nella sua cultura l’adulterio e quali sono le conseguenze per il coniuge che tradisce. «Oggi non lo so – ha risposto l’uomo –. Ma in passato si uccideva». Il fratello è quindi partito da Bergamo, dove vive e lavora, «per uccidere» la cognata. «Stava dormendo e mio fratello ha detto “finiamola”. Lui si è messo sopra e le ha bloccato la faccia; io i piedi». Il 50enne ha in seguito «preso un sacchetto e gliel’ha messo per dieci minuti sulla testa». Quando «sembrava morta, mi ha detto che bisognava pagare il posteggio e sono sceso: ero molto spaventato e sono andato a comprare dell’acqua, se no si poteva sospettare». Al rientro ha trovato il fratello sul divano. Stando alla versione dell’imputato, anche le fasi successive sono state orchestrate dal fratello, che gli ha suggerito di «far svegliare la madre dalla figlia, come faceva sempre, di allertare i vicini e i soccorsi». La donna era stata adagiata in posizione di riposo. Diversa la versione del fratello, caratterizzata da svariati «non ricordo». Saputo del tradimento, «ho detto a mio fratello che sarei venuto a parlare con sua moglie perché sono problemi di famiglia. Me lo ha chiesto lui: non ero arrabbiato ma scioccato perché ha portato un amante a dormire a casa sua». Secondo la versione del 50enne, una volta raggiunto l’appartamento «mi sono seduto sul divano e gli ho detto di andare a svegliare sua moglie. È tornato dopo un quarto d’ora con un sacchetto, tre fotografie e un paio di guanti, dicendomi di avere ammazzato la moglie». Riguardo alla cultura del suo Paese, l’imputato ha detto che «l’adulterio non è accettato: magari volano due schiaffi e non ci si parla per qualche anno ma poi i problemi si risolvono».

Movente, scopo e premeditazione

Per l’accusa i tre presupposti per riconoscere il reato di assassinio – movente, scopo e premeditazione – sono dati. «I due imputati hanno agito per futili motivi – ha aggiunto Buzzi –. Da una parte sentimenti di gelosia per il nuovo compagno con cui progettava di sposarsi, e di rabbia non avendo mai accettato la prospettata separazione. Dall’altra non ci sono motivi apparenti se non la vergogna familiare». I due fratelli sono «arrivati a uccidere unicamente perché la donna non si è sottomessa alla volontà della cultura tamil». Il modo scelto, il soffocamento nel dormiveglia, «era adatto per non lasciare tracce. I due hanno bloccato la donna con forza per almeno 10 minuti, infilandole non paghi un sacchetto in faccia per essere sicuri della morte». Un gesto che porta a «determinatezza nel voler uccidere a tutti i costi la donna, sapendo che in quel momento soffriva». Anche dopo i fatti «c’è stata mancanza di scrupoli e disprezzo per la vita altrui: il marito è uscito di casa per pagare il parcheggio, immagino per evitare al fratello di prendere una multa e quindi non avere una prova che si trovasse a Chiasso quel giorno, ed è andato a comprare dell’acqua dimostrando grande lucidità in merito alla necessità di avere un alibi». I due, infine, «non si sono fatti remore nell’usare la figlia per svegliare la mamma, senza occuparsi minimamente delle conseguenze di tale agire su una bimba di sei anni».

‘È caduto il mondo che doveva proteggerla’

Intervenendo a nome della figlia della vittima, l’avvocato Camilla Cimiotti ha chiesto un risarcimento di 60mila franchi per torto morale. «Do voce a una bambina che in un solo attimo ha visto cadere il mondo che doveva proteggerla. Una ferita viva e profonda che attraversa l’anima di una figlia rimasta sola al mondo».

Il cognato ‘va prosciolto’

La prima giornata di dibattimento è terminata con l’arringa dell’avvocato Giorgia Maffei, legale del 50enne. «Per condannare una persona non sono sufficienti degli indizi – ha detto la legale –. Quando l’ho conosciuto mi ha detto di essere in carcere per errore e di non aver ucciso». Gli «aspetti non chiariti dell’inchiesta» permettono alla difesa «di chiedere il proscioglimento per non avere partecipato all’uccisione della cognata», il cui corpo «parla» perché contaminato, spostato e ha subìto manovre di rianimazione. Il processo riprende oggi con l’arringa dell’avvocato Fiammetta Marcellini, legale del marito della vittima. Spazio poi alla camera di Consiglio.

LUGANESE / MENDRISIOTTO

it-ch

2025-12-17T08:00:00.0000000Z

2025-12-17T08:00:00.0000000Z

https://epaper.laregione.ch/article/281857239874845

Regiopress SA