laRegione

La parità di genere guardando le stelle

Intervista ad Amalia Ercoli Finzi, prima donna italiana a laurearsi in ingegneria aeronautica e Principal Investigator all’Esa, sabato alle Colazioni letterarie

di Ivo Silvestro

La prima “voce di donna” del nuovo ciclo di Colazioni letterarie al Lac sarà quella di Amalia Ercoli Finzi, ospite sabato mattina alle 11 dell’iniziativa organizzata dalla Società Dante Alighieri Lugano e LacEdu.

Nata nel 1937, Amalia Ercoli Finzi è stata la prima donna in Italia a laurearsi in ingegneria aeronautica. E non si è fermata lì, proseguendo con un dottorato di ricerca e lavorando, in ambito aerospaziale, con la Nasa e con l’Agenzia spaziale europea Esa, divenendo Principal Investigator della Missione Rosetta che nel 2014 ha raggiunto la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko.

Amalia Ercoli Finzi, come è nato il suo interesse per l’ingegneria aerospaziale?

Il mio interesse era per l’ingegneria: io mi considero un ingegnere nato, una di quelle che vuole capire come funzionano le cose. Questa è stata una mia scelta: fare ingegneria, una scelta che ho fatto nonostante la famiglia fosse diciamo “un po’ poco d’accordo”, però insomma si sono adattati e considerando il mio carattere hanno accettato. Una volta che ho scelto di fare l’ingegneria, fra le varie specializzazioni – all’epoca c’erano l’ingegneria elettronica, quella civile, l’elettrica e così via – io ho scelto l’indirizzo aeronautico perché in quel momento era il settore più avanzato nell’ambito tecnologico. Già allora gli aeroplani volavano molto bene e farli volare non era facile, quindi quello era l’indirizzo nel quale la tecnologia cominciava veramente ad affermarsi.

È stato poi abbastanza spontaneo passare dall’aeronautica allo spazio, come hanno fatto molte delle industrie aeronautiche mondiali, penso in particolare alla Boeing che ha fatto poi dopo tante cose nello spazio.

Adesso vediamo l’ascesa di nuove aziende, come SpaceX di Elon Musk.

E stanno lavorando benissimo.

L’approccio di SpaceX è “fail fast, fail often”, fare tanti tentativi imparando dai continui fallimenti. In che modo questo approccio contrasta con quello delle industrie aerospaziali tradizionali?

I privati che iniziano adesso con l’attività spaziale certamente fanno le loro esperienze, d’altra parte anche noi abbiamo avuto dei lanciatori la cui serie ha visto dei fallimenti per il 98%. Ci sono momenti in cui fare attività spaziale significa imparare e per imparare bisogna anche sbagliare. In generale, l’attività dei privati può essere considerata come molto positiva non soltanto perché portano a una riduzione dei costi, e già questa è una cosa importante, ma soprattutto perché possono rispondere a certe domande del mercato, come quella del turismo spaziale, che non fanno parte delle strategie delle grandi agenzie come la Nasa o l’Esa. Quindi ce n’è per tutti.

Il suo atteggiamento mi sembra diverso da quello di altre persone, preoccupate per il ruolo sempre più importante che stanno assumendo i privati.

Sono molto positiva, ma su una cosa insisto e punto i piedi perché è effettivamente importante: non bisogna lasciare ai privati la politica spaziale. La politica spaziale deve essere fatta dalle nazioni e quindi in particolare dalle agenzie spaziali. Le nazioni devono decidere quale deve essere il futuro, quali devono essere le cose permesse, quali non si devono fare e così via. Ai Paesi tocca il compito di definire la politica spaziale, poi il privato si può inserire in queste scelte politiche. Sappiamo ad esempio che oramai il campo delle telecomunicazioni è sfruttatissimo e sta dando dei risultati eccezionali: SpaceX si è inserita in maniera molto pesante in questo mondo, con la propria rete di satelliti, ma è un settore che ha già i suoi protocolli e le sue regole. L’esplorazione spaziale è invece un compito delle nazioni, delle agenzie spaziali che ovviamente possono collaborare con i privati, come avviene ad esempio sempre con SpaceX e il programma Artemis della Nasa che è quello che ci riporterà sulla Luna.

Di tutti i progetti ai quali ha lavorato come ingegnera, ce n’è qualcuno al quale si sente particolarmente legata?

I progetti sui quali ho lavorato tanto sono la missione Rosetta e la Stazione spaziale internazionale della quale mi sono occupata per tanti anni. C’è un progetto sul quale ho lavorato tanto che è quello dei free flyer, cioè oggetti che volano nello spazio indipendentemente collaborando tra di loro. L’idea è avere due satelliti muniti di un braccio che possano trasportare una trave nello spazio: mi sembrava un bellissimo progetto, ma non è mai stato realizzato, probabilmente perché è troppo ambizioso. È già difficile avere dei satelliti che vanno per conto loro, riuscire a farli collaborare…

Lei è stata la prima laureata in ingegneria aeronautica: questo e gli altri successi della sua carriera sono stati più difficili in quanto donna?

Questo di sicuro: per le donne è una vita difficile, ma per le donne tutte, per quelle che fanno le casalinghe, per quelle che fanno qualunque professione. Pensi anche quando le donne attraversano la strada se non si sbrigano vengono insultate. La vita è difficile per tutti, ma è difficile in particolare per le donne: stiamo combattendo per la parità, ed è una battaglia che deve essere condivisa da tutti. Secondo uno studio, ci vorranno ancora 131 anni per raggiungere la parità completa: io ovviamente non ci sarò, però penso che prima o poi ce la faremo.

Lei adesso è un modello per molte donne che vogliono intraprendere carriere scientifiche…

Insomma…

Non si sente un modello?

Do qualche consiglio alle ragazze. Diciamo che mando un messaggio: dico loro che ce la possono fare, che non è facile ma che ce la possono fare. E soprattutto che per farcela hanno bisogno di fiducia in sé stesse e di preparazione. Con questi due ingredienti, oltre a un po’ di aiuto e anche un pizzico di fortuna, ce la potete fare, potete fare quello che volete.

Quando lei ha iniziato aveva un modello, una figura di riferimento?

Direi di no, perché ho messo insieme un’attività professionale impegnativa con una famiglia grande, una famiglia notevole. Ora, io non avevo modelli di donne che fossero riuscite a mettere insieme le due cose: c’erano scienziate, c’erano artiste e così via, ma non figure che avessero anche sulle spalle il compito di tirar su una famiglia. Tant’è vero che ogni tanto mi sono domandata se fosse possibile. Se nessuna l’ha fatto, mi dicevo, vuoi vedere che è impossibile. E invece è possibile e io sono la prova che si può fare.

CULTURE E SOCIETÀ

it-ch

2024-10-17T07:00:00.0000000Z

2024-10-17T07:00:00.0000000Z

https://epaper.laregione.ch/article/281878713833763

Regiopress SA