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Cosa significa essere uomini

Senza vittimismo reazionario né nostalgie patriarcali, Manolo Farci propone una rigorosa analisi delle molte facce della mascolinità, fragilità incluse

Di Giulia Negri

Tra i propositi per l’anno nuovo possiamo inserire la lettura di ‘Quel che resta degli uomini. Sulla mascolinità’ di Manolo Farci. Si tratta di un’indagine coraggiosa su un tema davvero molto polarizzante all’interno del dibattito contemporaneo: in un momento storico in cui parlare di “crisi maschile” rischia costantemente di scivolare nella retorica vittimista o nel conservatorismo reazionario, l’autore riesce nell’impresa di tracciare un percorso analitico rigoroso ma fruibile, evitando sia il paternalismo progressista sia la nostalgia patriarcale. “La mascolinità non è un concetto o un attributo di facile definizione. Non è una proprietà che si possa misurare, né una peculiarità del carattere isolabile sotto il microscopio della psicologia applicata. Non è un’essenza che scorre nelle vene degli uomini, né un codice genetico nascosto nel loro DNA. È un’idea astratta e, di conseguenza, troppo complessa per offrirci una descrizione immediatamente accessibile. Gli stereotipi che gravitano attorno a essa ne offuscano ulteriormente la comprensione autentica”. Se donne e minoranze sessuali hanno dovuto per forza di cose confrontarsi con le questioni di genere, per gli uomini non è stato così.

Il libro brilla per la capacità di intrecciare teoria sociologica, dati empirici e narrazione personale. Farci si espone, racconta episodi della propria vita (come il toccante ricordo del padre in ospedale), rende visibile la propria posizione di “maschio che studia i maschi”. Questo approccio autoriflessivo conferisce al testo una dimensione umana che ne facilita la lettura senza comprometterne il rigore – anche se, da donna, devo confessare che alcune parti, per me, sono state difficili da leggere o accettare; altre mi hanno stupita come, per esempio, il fatto che i neonati maschi vengano al mondo “con un cervello più vulnerabile e più lento a maturare” e che “proprio chi, per sviluppo neurologico, avrebbe maggiore bisogno di contatto, contenimento e vicinanza emotiva, viene invece educato a farne a meno”. È stato interessante potersi calare in un punto di vista diverso.

Il malessere maschile contemporaneo

Particolarmente efficace è l’analisi della manosphere e dei cosiddetti manfluencer. La disamina degli ambienti digitali – dagli MRA agli incel, dalla red pill a Andrew Tate – è documentata, lucida e priva di moralismi facili. Farci non si limita a condannare, ma cerca di comprendere le dinamiche che rendono questi spazi così attraenti per milioni di giovani disorientati. Irrinunciabile la spiegazione di come questi influencer sfruttino il funzionamento del meccanismo del rage baiting, “ovvero la creazione di contenuti provocatori per scatenare risposte forti e incrementare traffico e profitto”: questo funziona anche e soprattutto grazie a chi è contrario, si indigna, e finisce di fatto per far arrivare ad ancora più persone i messaggi che ritiene discutibili, perché questo è il funzionamento degli algoritmi. Altrettanto preziosa è la critica al concetto stesso di “mascolinità tossica”: l’autore ne smonta l’utilizzo retorico e colpevolizzante, mostrando come questa categoria rischi di naturalizzare proprio ciò che dovrebbe decostruire, trasformando un problema strutturale in un difetto individuale. Nonostante i molti pregi, ci sono un paio di critiche da fare: la struttura, per quanto chiara, risulta talvolta ridondante: alcuni concetti vengono ripresi più volte senza particolare approfondimento, generando una sensazione di circolarità. La trattazione avrebbe forse beneficiato di una sintesi più incisiva. La conclusione può essere di ispirazione, ma rispetto alle approfondite analisi del libro sembra un po’ astratta e frettolosa: personalmente, avrei apprezzato maggior dettaglio nell’ultimo capitolo, proprio quello dedicato a come fare per cambiare davvero le cose. In sintesi, ‘Quel che resta degli uomini’ è un libro importante, che ci mostra come sia possibile occuparsi delle fragilità maschili senza scivolare nel vittimismo reazionario, e al contempo criticare la mascolinità egemonica senza ridurre gli uomini a semplici oppressori monolitici. Consigliato a chiunque voglia capire qualcosa in più sul malessere maschile contemporaneo, sulla cultura digitale giovanile e sulle trappole del dibattito pubblico su questi temi. Un punto di partenza, non di arrivo, per una conversazione che abbiamo rimandato troppo a lungo.

CULTURE E SOCIETÀ

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2025-12-31T08:00:00.0000000Z

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