‘Rivasole’ e Wir, due impresari condannati
Un 68enne e un 41enne, sono stati ritenuti colpevoli di truffa e appropriazione indebita in un’operazione finanziata dalla succursale luganese della banca
Di Carlo Canonica
L’articolata vicenda che ha coinvolto la banca Wir ritorna in aula penale. Questa volta, di fronte alla Corte delle Assise criminali di Lugano – presieduta da Marco Villa –, sono apparsi due uomini, padre e figlio cittadini italiani di 68 e rispettivamente 41 anni, accusati dalla procuratrice pubblica Chiara Borelli di truffa in subordine ripetuta appropriazione indebita e, solo nei confronti del 68enne di omissione della contabilità. I due, accusati in correità con l’ex direttore dell’istituto bancario, poi assolto, hanno percepito dei fondi destinati a realizzare un immobile a Riva San Vitale denominato ‘Residenza Rivasole’ – immobile andato all’asta lo scorso anno –, ma hanno usato i soldi per scopi personali o per pagare precedenti debiti. Il giudice ha condannato i due uomini a 24 mesi di reclusione sospesi per due anni, ritenendo il reato di truffa compiuto solo parzialmente rispetto a quanto proposto nell’atto d’accusa.
‘Siamo innocenti’
Quanto esposto in aula è avvenuto tra il 2014 e il 2019 e riguarda un credito di costruzione di quattro milioni rilasciato dalla Wir ai due condannati, nonostante l’azienda gestita dal padre non avesse soldi per garantire la solvibilità dell’operazione e presentando documenti non in linea con la prassi. Per questi fatti i due si sono professati «innocenti»: il 68enne – nonostante fosse già stato condannato due anni prima per reati simili – ha sostenuto di aver agito sempre in buona fede, fidandosi delle indicazioni dell’ex direttore della succursale luganese di Wir e affermando di aver sempre agito con l’intenzione di completare il progetto edilizio. Il 41enne, invece, ha dichiarato di non essere stato a conoscenza dell’origine dei fondi utilizzati nell’operazione e di aver informato, in modo esauriente, i possibili compratori riguardo ai finanziamenti della residenza.
‘Sapevano di mentire’
L’agire dei due uomini, per la procuratrice è servito solo a soddisfare i propri interessi personali: il 68enne, «era stufo di lavorare come dipendente e ha deciso di creare la sua azienda anche se non disponeva dei fondi necessari. Ha cominciato con un prestito di 50mila franchi e con quelli successivi, man mano che li riceveva, copriva i debiti precedenti per mantenere uno stile di vita di alto standing. Il tutto per la sua gloria. Questo modo di agire non è quello di un impresario costruttore». Padre e figlio, quando hanno richiesto il credito per la residenza di Riva San Vitale, «sapevano che stavano mentendo. Nella prima tranche per il pagamento della ‘Residenza Rivasole’ c’è una fattura di 70mila franchi solo di spese di commissione che sono servite per pagare un prestito per una costruzione precedente e per il debito iniziale». La modalità, per la pp, è poi continuata anche dopo lo scandalo della banca Wir che ha avuto come conseguenza l’interruzione dei soldi all’azienda del 68enne. La pp ha pertanto chiesto una pena simile nei confronti di entrambi: tre anni di reclusione, di cui sei mesi da espiare e i restanti sospesi condizionale per due anni.
Dal canto loro gli avvocati Alessia Angelinetta
– a difesa del 68enne – e Pascal Frischkopf e
Benedetta Noli – difensori del 41enne – hanno respinto con forza le accuse chiedendo il proscioglimento di tutti i reati. L’agire del 68enne «è stato leggero e superficiale data la sua ignoranza a livello imprenditoriale – ha affermato Angelinetta –. La sua lunga esperienza non lo rende un esperto in ambito finanziario e per questo si è fidato delle indicazioni dell’ex direttore della banca Wir. Era responsabilità della banca controllare i documenti necessari. Lo sbaglio per la concessione di questo credito è della banca». Per Noli, è stata «la banca a concedere dei crediti alla leggera» e il suo assistito ha dimostrato la volontà di consegnare gli immobili ai possibili acquirenti.
Nessuna truffa nei confronti della banca
Villa, con i giudici a latere Monica Sartori Lombardi e Emilie Mordasini, ha ritenuto non compiuta la truffa nei confronti della banca ed ha optato per il reato di appropriazione indebita. «Manca un confronto tra i protagonisti principali per poter stabilire con certezza l’aspetto soggettivo del reato di truffa», ma «i soldi sono stati utilizzati per finalità che niente avevano a che fare con lo scopo designato». La truffa, invece, è stata riconosciuta nei confronti degli accusatori privati, perché «sono stati stabiliti dei diritti di compera nonostante non ci fossero più soldi», ha rilevato Villa.
LUGANO E DINTORNI
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2025-01-14T08:00:00.0000000Z
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