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L’apprendista Trump la ballata di Limonov

Il film d’animazione giapponese di Yoko Kuno alla Quinzaine e, in Concorso, i film biografici di Kirill Serebrenniko e Ali Abbasi, oltre al deludente Cronenberg

dall’inviato Ugo Brusaporco

Dire che sono giorni intensi e notti cortissime è dire della vita sulla Croisette, con il telefono che manda messaggi dalle sei di mattina alle tre di notte, per incontri, discussioni sui film o semplicemente per chiedere qual è il prossimo film che vedi. Swiss Films ha fatto la sua festa a Cannes nel prestigioso Lounge Campari del Palais, un luogo segretato, ci si arriva solo con un ascensore interno, controllatissimo alla partenza e all’arrivo al quarto piano, vista mozzafiato sul borgo e sulle colline, banco bar da dieci e lode.

Intanto è stata assegnata una Palma d’Oro onoraria allo Studio Ghibli, lo studio d’animazione giapponese noto per i film girati da registi come Hayao Miyazaki, Isao Takahata e Hiromasa Yonebayashi. A ritirare il premio sul palco del Grand Théâtre Lumière è salito Goro Miyazaki, figlio di Hayao. Nello stesso tempo alla Quinzaine des Cinéastes abbiamo visto un film d’animazione, sempre giapponese: “Bakeneko Anzu-chan” (Il gatto fantasma Anzu!) di Yoko Kuno, Nobuhiro Yamashita prodotto dallo storico studio d’animazione ShinEi Animation. Un film basato sull’omonimo manga di Takashi Imashiro che sorprende per l’essenzialità narrativa, per personaggi poco curati come disegno. È la storia della sedimentazione del profondo dolore di una bambina, Karin, colpita dalla morte della madre; un dolore che lei, novella Orfeo, supererà solo portandola fuori dagli inferi in cui si trovava, e resistendo ai diavoli che la vogliono riportare nel regno della morte. Interessante è la figura del padre della bambina, un poco di buono che la affida al nonno materno, un monaco che vive in un tempio rurale, per tornare ai suoi loschi modi di sopravvivere. Dal nonno la bambina incontra Anzu, il fantasma di un gatto che ha assunto forma umana. Un film per grandi e piccini non afflitti dalla fretta di cambiare canale. In Concorso ha profondamente deluso David Cronenberg che ha portato il ridicolo “The Shrouds” (I sudari) sulla Croisette, dialoghi impossibili e una regia che non sa dove andare con i protagonisti, Vincent Cassel e Diane Kruger, lasciati allo sbando. Terribile. Su altri livelli si muovono gli altri due film della competizione: “Limonov, The Ballad” di Kirill Serebrenniko e “The Apprentice” di Ali Abbasi. Due film biografici, il primo su õduard Veniaminovic Savenko (1943 -2020), meglio conosciuto nel mondo come õduard Limonov, poeta, scrittore, politico, sempre estremo: il secondo sull’apprendistato di Donald Trump, palazzinaro di lusso, cresciuto con l’aiuto di politica corrotta e mafia, così preso dal suo smisurato io, da dimenticare le più elementari decenze d’umanità. Kirill Serebrenniko è più autore del collega, ma pensiamo al terribile lavoro di Ali Abbasi per dire di Trump senza prendersi qualche denuncia dai suoi accaniti studi legali. Eppure “The Apprentice” è un preciso ed emozionante j’accuse contro colui che solo incarna il vero mito americano: primo, non chiamarli Stati Uniti ma America; secondo, considerare due possibilità di vita: vincere o morire; terzo, se ti accusano negare sempre e controbattere con altre accuse; quarto, tutti si possono corrompere; quinto, i maschi sono superiori alle donne; sesto, qualche tiro di cocaina… beh, si sposa con quanto detto prima. Straordinario il peso nell’apprendistato di Trump dell’avvocato Roy Cohn, uno dei più inquietanti personaggi del dopoguerra statunitense: fu lui a far condannare a morte Ethel Rosemberg, nel famoso processo per spionaggio che la vide coinvolta col marito Julius; tutti volevano salvarla in quanto madre, lui fece passare la tesi che essendo comunista non poteva essere una buona madre. Lui che presentò al giovane Trump signori dai nomi conosciuti come Fat Tony Salerno, Carmine Galante, e, forse, John Gotti, tutto l’eldorado della mafia. Il capolavoro è quando il regista mostra Trump scappare dal suo pigmalione perché Roy Cohn ha l’Aids. Ed è indigeribile come tratta la moglie Ivana, certo non una santa, ma quando le confida che il suo corpo non l’attrae più, viene un brivido, e come quando si sottopone alla chirurgia per togliersi la pancia e impiantarsi i capelli… Se questo sarà ancora Presidente degli Stati Uniti che cosa accadrà?

“Limonov, The Ballad” di Kirill Serebrenniko è realmente una grande ballata su un personaggio fuori dal comune, un uomo solo, di infinita solitudine, che lo porta spesso a tentare il suicidio, uno che ha lavorato in miniera nella vecchia Unione Sovietica, uno che si innamora alla follia di una donna fino a tentare di ucciderla per non perderla, uno che sfida Putin in nome della sacra Russia e che finisce quasi santo in carcere, uno che vive sulle strade di New York amando barboni e facendosi sodomizzare. Incredibile a New York durante l’apprendistato di Trump! Serebrenniko non dà giudizi, canta una bella canzone su un personaggio scomodo, antipatico e irritante, un poeta, comunque… “La Legge Universale scorre davanti a me / in lettere maiuscole… quinta colonna /e ce n’è ancora uno! Disertore. Spia./ Vivrà come il fratello di Napoleone. /Tra gli altri poeti, sono una merda…” ha scritto lui. Il Festival continua, oggi chiude il mercato.

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2024-05-22T07:00:00.0000000Z

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