Denise Fernandes e il viaggio di ‘Hanami’
La regista cresciuta in Ticino racconta il film nato dalla diaspora capoverdiana. Tra sogno e realtà, un progetto per rendere visibile un paese invisibile
Di Ivo Silvestro
‘Hanami’ di Denise Fernandes è un film sul viaggiare e sul restare. Incontriamo Nia, che lascia l’isola di Fogo in cerca di una vita altrove; incontriamo Nana, la figlia che Nia lascia sull’isola; incontriamo i parenti che si prendono cura di Nana; incontriamo altre figure e altri personaggi in un racconto intenso e frammentato come possono esserlo i sogni. È un film che procede per ritorni e scarti, seguendo più gli stati d’animo che gli snodi della trama.
‘Hanami’ è anche un film sull’identità, ma presentarlo così fin dall’inizio rischia di essere fuorviante, di suggerire che basti indicare un luogo per rispondere a domande esistenziali che parrebbero riguardare solo “l’altro”. Il tema dell’identità è presente, ma nei gesti, nelle scelte dei personaggi, negli incontri e anche nelle ricette. ‘Hanami è un film sul viaggiare e in quest’ultimo anno e mezzo è il film stesso ad aver viaggiato. Nell’agosto del 2024 la prima assoluta a Locarno, dove la regista di origine capoverdiana è cresciuta, e il Pardo per la miglior regia nei Cineasti del presente. Poi ‘Hanami’ «ha cominciato a girare in tutti i festival, in una quantità di festival, una valanga di festival» ci ha raccontato la regista non trovando altre parole che «esplosione» mentre elenca città, paesi e ricordi «da New York al Burkina Faso, da Milano al Brasile, dall’Australia alla Cina, dall’Arabia Saudita a Londra e Los Angeles». E ora il “ritorno a casa”, con ‘Hanami’ in programmazione nelle sale della Svizzera italiana.
Una piccola isola che non si vede
Tante realtà diverse, per un film che è fortemente radicato in un piccolo arcipelago che sospettiamo molto persone non saprebbero trovare su un mappamondo. «È vero» risponde Fernandes. «Io sono cresciuta con un paese sconosciuto, invisibile. In molte mappe non c’è, è talmente piccolo che viene ingoiato dall’oceano». (Per la cronaca: bisogna trovare le coste del Senegal e spostarsi di circa 500 chilometri verso ovest). La consapevolezza di questa invisibilità non è solo geografica ma anche simbolica: in molti contesti, dice, Capo Verde è un nome che non evoca nulla, un luogo senza immagini precostituite.
Questo, ha aggiunto, «è un po’ il punto del film e la diversità dei contesti in cui il film si è ritrovato è per me, in un certo senso, un “missione compiuta”». Quale missione? «Non ci sono film di finzione realizzati a Capo Verde». E, ha aggiunto, quando ci sono, è sempre qualcun altro che racconta Capo Verde dal suo punto di vista, anche perché «il cinema è un’arte tanto fantastica quanto pesante» e servono risorse. «Io sono una persona che fa parte della diaspora capoverdiana. E sono una cineasta: mi sono detta che se un giorno fossi arrivata alla regia di un lungometraggio, lo avrei fatto lì».
C’è ovviamente il problema di una industria cinematografica praticamente inesistente, anche se – ha spiegato Fernandes – qualcosa si sta sviluppando. ‘Hanami è una coproduzione tra Svizzera e Portogallo, con il sostegno dell’Unione Europea. «La troupe era composta da persone svizzere, alcune portoghesi e alcune dell’isola». Di fatto, la macchina produttiva è arrivata da fuori, mentre il territorio ha offerto tutto il resto: «L’isola ha dato tutto, gli abitanti hanno dato tutto». Ha dato, soprattutto, il cast. Gli attori e le attrici di ‘Hanami’ sono in gran parte non professionisti, abitanti dell’isola che si sono trovati progressivamente coinvolti nel progetto. «Alcuni personaggi trovati anni prima di filmare, alcuni mesi prima di filmare, altri poche settimane prima di filmare… un lavoro lungo e intenso, ma anche una delle parti più arricchenti del percorso».
Come è lavorare con attori non professionisti? «È una sfida enorme. Ma l’attore non professionista è una persona che brilla nella vita reale, che ti emoziona nella vita reale». La difficoltà nasce dall’attrito fra questa spontaneità e i tempi dilatati del set. «A volte per filmare una scena ci metti tre giorni e magari sullo schermo dura tre minuti». Mantenere la stessa intensità nelle frammentate condizioni di un set è complicato, per chi non è abituato, ma «non per forza avere un attore professionista ti semplifica la vita» ha concluso la regista, ricordando come «ogni realtà ha le sue sfide diverse».
Un vuoto
‘Hanami’ non è semplicemente la risposta a un vuoto nell’immaginario. Capo Verde, per Fernandes, è qualcosa «che per me è impossibile esprimere a parole e allora è lì che arriva il cinema». Esplorando i registri della meraviglia e del sogno. «Il film non è nato a partire da un “soggetto” definito, da una trama, ma dalla domanda su come voglio che questo film ti faccia sentire». Prima ancora di definire “di cosa” avrebbe parlato, la regista ha lavorato su “come” far percepire quel mondo, sul tipo di esperienza emotiva. La meraviglia, appunto. Ma una meraviglia che non coincide con il cliché del “paradiso tropicale” da occhi occidentali. «La meraviglia per me può appartenere a qualsiasi contesto. Dipende dallo sguardo che tu metti». A fianco della meraviglia c’è anche il sogno. E «un senso di peso, perché io sto raccontando una storia che accade in un’isola» e questo porta con sé limiti e possibilità, isolamento e protezione.
Un sogno, ma non improvvisato. «‘Hanami’ è un film molto intenzionale: ogni cosa che c’è voluta e pensata». In particolare una scena, quella della scelta di Nana, è secondo Fernandes centrale, quello che condensa lo spirito del film. È il momento verso cui tutto sembra convergere, la decisione che dà una direzione al viaggio compiuto fino a quel punto. «Mi ricordo che l’ho scritta di getto e l’ho realizzata praticamente come l’ho pensata fin dall’inizio».
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2025-11-27T08:00:00.0000000Z
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