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Un libro coraggioso

Nessuna retorica, nessun pietismo.

Al suo esordio nella narrativa, Massimo Cecchini si misura con il tema della grave disabilità che irrompe in una normale coppia borghese, nella Roma degli anni Sessanta.

Senza tralasciare gli aspetti più insospettabili del quotidiano fisiologico di un bambino con forte andicap, l’autore ci accompagna nei meandri di una storia vera e solo in parte romanzata.

Già dall’incipit, Cecchini ci cala nella realtà senza giri di parole e senza addolcire la pillola: “Aveva gli occhi ciechi, la bocca sempre aperta, la saliva libera, il grido gutturale, la forza animale, la parola e il dolore incomprensibili, la purezza dei poveri di spirito”.

Il bambino è un romanzo che lascia il segno in chi legge: non è facile abbandonare la lettura, e paradossalmente non è nemmeno facile riprenderla.

La nascita e l’incidente

Pietro e Anna Bonaventura sono due ragazzi come tanti; lei viene dalla Calabria, lui romano, fa parte di una nota dinastia di avvocati. La nascita del loro primogenito cambierà totalmente il corso della loro vita. Angelo, poi detto sempre Angelino – anzi, per tutti sempre il Bambino –, nasce con un incidente imprevisto che lo condurrà a una drammatica e inguaribile disabilità. Angelo manifesterà in tutta la sua potenza le difficoltà di ogni tipo che il suo fisico malato mostrerà ai genitori, e a coloro che nel tempo si presteranno ad aiutarli in un’impresa che molti, nelle loro stesse famiglie, giudicheranno eroica da un lato, ma anche folle e dissennata dall’altro. Il Bambino calamita attorno a sé l’attenzione e la cura incessante di tutta la famiglia, anche perché le sue patologie, con il passare degli anni, si aggravano, rendendo necessario l’aiuto di un numero sempre maggiore di persone per la sua gestione. Così nella vita di Pietro, Anna e Angelo entrano una serie di personaggi, prime fra tutte due domestiche filippine, Nora e Roselyn, che accompagneranno i Bonaventura per gran parte della loro vita. L’altro protagonista del libri è Lorenzo, il giovane autista di cui Angelo ha bisogno quotidianamente.

La trappola del giudizio

Questo è un romanzo sulla tenacia, sulla dedizione ma anche sull’insensatezza, e l’atteggiamento dell’autore, nato a Teramo nel 1961, appare volontariamente non giudicante: racconta, documenta, analizza, prova a spiegare e cerca di capire gli atteggiamenti di quanti circondano questa famiglia messa a una durissima prova, senza mai dare giudizi morali o moralistici. Si misura con una lingua potente, perché la storia che racconta lo richiede. Inoltre sa dare profondità psicologica ai personaggi e una notevole ricchezza di dettagli emotivi alle situazioni.

“A loro, perché nulla venga dimenticato” è la dedica che troviamo all’inizio del libro. Una frase in qualche modo ‘strana’ per una storia personale; appare piuttosto come un monito per non dimenticare un fatto storico rilevante, per ricordare un avvenimento dal quale si possa (e debba) trarre una lezione. E in effetti qualcosa che emerge dalla vicenda personale e diventa universale c’è, eccome. Come se Cecchini volesse dirci: “Non dobbiamo esser giudicanti”. Mai.

LETTURE

it-ch

2022-12-03T08:00:00.0000000Z

2022-12-03T08:00:00.0000000Z

https://epaper.laregione.ch/article/282368338669979

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